giovedì 30 maggio 2013

Per Lele




I nostri incontri, devo confessarlo, mi mancano.
La quiete che pervadeva la casa piena della sua presenza mi manca molto.
La sua compagnia e la possibilità di recarmi da lui, certo con un minimo di
motivazione che giustificasse la visita –i materiali ricercati e trovati in qualsiasi posto capitasse- ma senza alcuna necessità di prepararmi, mi manca immensamente.
Non c’era bisogno di un incipit particolare, bastava il piacere di discorrere, di conversare, appunto.
Per me era così, ma anche per Lele non c’era certo l’assillo di vedere a tutti i costi ciò che portavo, né l’attenzione tutta centrata su di sé che spesso caratterizza personaggi anche molto meno famosi di lui.
Che anzi si schermiva e si sottraeva non dico agli incensamenti ma anche al giusto riconoscimento del suo contributo spesso geniale, comunque originale nella sua naturalezza.
Poteva essere un po’ curioso, questo sì, di vedere cos’altro fossi riuscito a scovare.
Nessuna eventuale critica che poteva rivolgere a qualcuno era meno che ‘velata’, perché la benevolenza era una sua cifra caratteristica.
Solo con i potenti, con i personaggi importanti, si concedeva il lusso di sottrarsi un po’ infastidito ai rituali ossequiosi.
Mai visto negarsi con le persone più semplici, normali, con i bambini. Anzi era proprio in mezzo ai bambini che sembrava, in tutto e per tutto, uno di loro.
E’ stato molto attivo fino alla fine e non so prefigurarmi come facesse a reggere i ritmi della sua vita in età adulta, costellati di impegni diversificati, di frequentazioni importanti, di sperimentazioni mai banali.
Lui stesso, rievocandoli, se ne stupiva, divertito.
Detto molto semplicemente, migliorava la vita degli altri, per questo gli incontri con lui erano sempre a somma positiva.
Se fosse ancora vivo cercherei di trovare in qualche asta un manifesto di Picasso con firma autografa e poterglielo donare e supplire in qualche modo al dispiacere che lo attraversava tutte le volte che emergeva il ricordo di quel manifesto donatogli da Picasso e sottrattogli da un miserabile, in casa sua.
Ma, in fondo, le cose in quanto tali non lo interessavano; lo interessavano le persone e le stesse sue opere le considerava importanti non in sé, ma in quanto funzionali e utili a qualcuno.
Lui, la sua casa, la sua opera, sono per me inscindibilmente legati.
Per questo ho voluto ricordare nel libro gli incontri con lui e ripercorrere episodi e narrazioni per lo più già note.
Con un consiglio di lettura che spero possa essere utile: leggete prima le figure, che rappresentano Lele nella sua abitazione purtroppo smantellata ed alcune fra le più belle dediche da lui disegnate durante i nostri incontri; poi vengono i 15 racconti che sono la parte più godibile del testo; il resto, i 20 capitoli, sono più da considerare una documentazione un po’ ‘enciclopedica’ della sua produzione ‘altra’. Che in quanto tale, va somministrata a piccole dosi, o al limite, utilizzata nei casi di insonnia più persistente.

In estrema sintesi credo che il maggior pregio del libro sia di consentire a ciascuno di noi di poter restare ancora un po’ in sua compagnia. Ma il merito non è certo mio. E’, in realtà, tutto suo.

mercoledì 29 maggio 2013

Don Gallo, Premio nazionale per l’Autobiografia 2010.


Quando il 18 luglio, giorno del tuo compleanno, sono venuto in Comunità fra i tuoi ragazzi a chiederti se l’assegnazione del Premio da parte della Libera Università dell’Autobiografia era una cosa a te gradita, ti sei subito premurato di precisare che al centro c’erano gli altri, non tu.
E infatti, non a caso, la motivazione del premio recita: “Per la sua costante testimonianza ‘di strada’ a Genova e nel mondo, e per il suo percorso autobiografico che condivide le storie di vita dei suoi compagni di viaggio.”
La tua esistenza ha acceso speranze e fatto nuovamente pulsare cuori inariditi dall’indifferenza crescente che ci circonda.
E’ per questo che adesso che ci hai lasciato per ricongiungerti al Padre, tocca a tutti noi fare qualcosa per te.
“Sogno che le mie Comunità spariscano (…) Vorrei che fossero meno indispensabili (…) e che sia la Comunità umana a prendersi cura dei ragazzi perché se noi siamo pronti a curarli loro sono pronti a guarirsi.”
Dopo averti accompagnato nel tuo ultimo viaggio sulla terra, avverare il tuo sogno spetta a ciascuno di noi. Cercheremo di non deluderti.

Un abbraccio.


Giorgio

La felicità dello scrivere

Scrivere, forse è una malattia. O forse no.
Fatto sta che quando prende il sopravvento è difficile contenerla, confinarla e controllarla.
Ma allora, se si può piangere dalla gioia e si può ridere ‘a crepapelle’, fino a morirne, forse si può essere contaminati dalla ‘febbre dello scrittore’.
Bel paragone!
Ma se la febbre non c’è? Se il risultato è quello di sentirsi meglio con se stessi? Se si sfruttano tutte le occasioni per poter mettere nero su bianco ciò che altrimenti si arrenderebbe all’oblio?
In questo caso, forse, non di malattia si tratta, quanto di guarigione.
La malattia, spesso inconsapevole, è l’essere ancorati ad un pervicace silenzio interiore, perseguire una sorta di entropia esistenziale, barricarsi entro convinzioni di autosufficienza dure a morire.

Ed è proprio la felicità dello scrivere
che può scardinare questo universo solipsistico,
percepire il proprio esserci nella sua interezza
e farci entrare in contatto con il respiro del mondo.
La felicità dello scrivere non riguarda quindi i contenuti trattati, né gli stati d’animo rilevati.
La felicità dello scrivere è semplicemente
la vita che fluisce,
l’inchiostro che scorre,
il cuore che batte.


da ‘La felicità dello scrivere’