mercoledì 27 novembre 2013

LA RELIGIOSITA' DELLA TERRA



Frammenti di vita - 19 novembre 2013

Firenze. Le note dell'organo riempiono lo spazio circostante inserendosi nelle fessure dei muri.
Luci fioche e soffuse illuminano volti sofferenti e stormi di angeli dorati lasciando in penombra ampie volte e nicchie posizionate in successioni geometriche.
Singole note prendono a percorrere le pareti verticali a strapiombo sui marmi geometricamente convergenti verso l'altare.
Le panche quasi vuote accolgono anime sperdute in contemplazioni assorte, laiche o religiose, non importa.
Magari non tutte assorte, alcune anche ridenti e riposanti.
Luci elettriche quasi dappertutto, tranne di fronte ad una piccola Madonna sul lato dell'altare, riscaldata da pochi guizzi tremolanti. 
Una ragazza ne aggiunge alcune e, quindi, esce soddisfatta.
Luci che ardono come speranze che divampano o semplicemente resistono.
Ascolto l'organo che prosegue incessante nel suo cammino, sempre più pieno e greve. Poi passa ad armonie più tenui e giunge l'ora di lasciare il posto a qualche altra anima solitaria.
Attratto a mia volta dalle esili luci delle piccole candele, mi avvio ad accenderne qualcuna, pagando il dovuto, ed a lasciare il mio obolo per il riposo e la musica. Il cartello dice che verrà usato per completare il restauro dello strumento.
Anche questa forse, è religiosità della terra, tanto più laica quanto più religioso è il posto che l'accoglie.

domenica 24 novembre 2013

RISCOPRIRE IL LEGAME CON LA TERRA



FRAMMENTI DI VITA - 16 novembre 2013

Anghiari. La piana della battaglia è davanti ai miei occhi.
Sono qui da ieri pomeriggio e riparto in serata. 
Il libro di Duccio, arrivato solo l'altro ieri a Genova, 'La religiosità della terra', è già iniziato.
Le linee verdi dell'evidenziatore lo percorrono in cerca di conferme e sorprese.
L'introduzione è chiara e scorrevole.
Ma adesso sono in piazza Baldaccio ed è la Piana di Anghiari ad avere il sopravvento.
Ritorno con la mente al gruppo del Seminario di ecologia narrativa del giugno scorso che, insieme al convegno nazionale del maggio con Vandana Shiva, è stato il punto di avvio di questa nuova avventura.
La camminata del sabato pomeriggio, senza grandi pretese e purtuttavia avvincente, ci ha portato dai Bastioni granitici alla campagna soleggiata fino all'orto del Talozzi impreziosito dal laboratorio del Giorni, e poi ancora oltre sul greto del fiume, non senza rendere un doveroso tributo a due maestosi alberi posti quasi a guardia dell'accesso alle acque.
Scrivere, e condividere, questa la ratio.
Scrivere per sè, soprattutto, ma anche per gli altri in sè e per l'altro da sè.
Ma anche scrivere per la terra, per restituirle almeno in parte ciò che costantemente ci dona, accogliendoci.
Scrivere per narrarci, ma anche per narrarla.
Ciascuno per suo conto ma con la presenza costante -fisica, materiale, eterea e spirituale- degli altri, che ci accompagnano in questa avventura a termine che è la vita.
A chi dovremmo essere grati per la buona sorte di esistere se non alla terra?

sabato 23 novembre 2013

NAVIGARE NELLA TURBOLENZA

Prendo spunto da un'affermazione di Corrado Augias che domenica 10 novembre, interloquendo con un lettore di Repubblica sul tema L'educazione dei giovani comincia in casa, ha detto che per quanto riguarda i genitori “gli esempi contano un po’ di più poichè l’educazione comincia con quello che i giovani vedono in casa”.
Sono d'accordo, anche se allargherei il quadro affermando che, subito dopo, l’educazione dei giovani prosegue nella scuola, di ogni ordine e grado. E per quanto riguarda l'educazione dei giovani a scuola credo sia significativa l’analisi di Massimo Recalcati quando ci parla di una scuola che dal complesso di Edipo (discipline trasmesse senza soggettività) passa al dominio del complesso di Narciso (tutto semplificato, ostacoli spianati dai genitori ed insegnanti con un ruolo anche educativo sostitutivo ma ambiguo) per approdare al complesso di Telemaco (i giovani in attesa che qualcosa del  padre torni, fosse anche sotto forma di un ‘pezzo’ di insegnante).
In un recente laboratorio autobiografico con insegnanti ed educatori su ‘Navigare nella turbolenza’, promosso per cercare di ri-orientare l’insegnamento e il lavoro educativo in un mondo sempre più complesso, si è osservato quanto sia necessario che queste figure a stretto contatto con i giovani sappiano ripartire da sè, in senso autoriflessivo, per narrare ai giovani una relazione educativa dotata di senso che li spinga ad intraprendere, insieme, un ‘viaggio formativo’. Anche in questo caso gli esempi contano ma le competenze necessarie crescono in maniera consistente. 
Riorientarsi seguendo percorsi riflessivi ed autoriflessivi può rappresentare, quindi, l'utilizzo di un altro seme che potrebbe, presto o tardi, germinare.
L'educazione perciò comincia sicuramente a casa, ma è altrettanto indubitabile che prosegua negli ambiti scolastici che non possono limitare la propria la propria mission al puro e semplice insegnamento disciplinare.

lunedì 11 novembre 2013

VIVERE, AI CONFINI DELL'UNIVERSO


Stai vivendo la tua vita, ma sembri non accorgerti di trovarti ai confini dell’Universo.
Nessuno, infatti, dotato di un minimo di raziocinio può pensare di occupare il centro della scena.
D’altronde, in un Universo multicentrico, va da sé che convergere verso un’unica meta per occupare saldamente il palcoscenico, non è realisticamente possibile.
Puoi restringere il campo, ma non tarderai a scoprire che anche la tua Patria, la tua Regione e la tua Città sono ugualmente multicentriche.
Tutto accade in una pluralità di situazioni diverse.
Ciò vuol dire, in concreto, che anche ove occupassi il centro di una scena, avresti un numero imprecisato di imitatori su altrettante tribune; impossibile a dirsi se più centrali o più periferiche.
E’ allora che ti butti sul tuo Quartiere, pensando che diventare Re a casa propria è più facile che farlo in trasferta. 
Niente di più sbagliato! Avevi dimenticato l’antico adagio che recita ‘Nemo propheta in patria’. E così ti accorgi che anche il Quartiere è multicentrico, così come il Rione, la Strada e finanche il Caseggiato.
“Basta! Ho capito l’antifona,Questa volta non posso fallire.”
Ti alzi presto al mattino, prendi le misure, tracci rette e diagonali, calcoli il centro perfetto della tua Abitazione e lo vai ad occupare, pensando che nessuno potrà insidiare il tuo primato.
Resti immobile, pregustando chissà quali soddisfazioni e riconoscimenti.
E lì rimani, a consumare il giorno e la notte che si avvicendano, le settimane che si accumulano, i mesi che si sgretolano e gli anni che rotolano via.
Poi, all’improvviso, capisci ciò che neanche mille anni di spiegazioni articolate avrebbero potuto farti comprendere.
Non esiste alcun centro, nè per te, tantomeno per la Terra o per l’intera Galassia.
Lo stesso concetto di multicentrismo è malposto e, sostanzialmente, erroneo perché moltiplica le centralità invece di abbatterle.
Ma in assenza di uno o più centri anche le periferie perdono significato ed i confini diventano una mera convenzione che distingue il conoscibile dall’inconoscibile.

E’ per questo che, ormai anziano ma non vinto nello spirito, lasci il centro della tua Abitazione per cominciare, realmente, a vivere.
Visitando luoghi frequentati da molti ma sconosciuti ai più.
Raggiungendo mete fisicamente irrilevanti ma spiritualmente sconfinate.
Esplorando percorsi considerati elementari che celano mete magistrali.
Ed alla fine comprendi il messaggio: non sei al centro; non sei nemmeno in periferia; semplicemente, ci sei.
E passare oltre non è una iattura quanto una controprova dell’esserci stati.
A che scopo? Non è dato sapere, anche se spesso la soluzione di un enigma è più vicina di quanto non si creda.
Riceverla –la vita-, viverla e donarla a propria volta, se si è fortunati, è già un grande traguardo. Una luce che rischiara il cammino, nei momenti difficili. (G.M.)

martedì 5 novembre 2013

IO C’ERO - Il valore delle testimonianze autobiografiche


L’incontro fra gli ‘angeli del fango’ 
delle alluvioni genovesi del 1970 e del 2011
                                                                                             


Impossibile in un contesto così intriso di ‘saperi esperienziali’, come l’iniziativa odierna (“LA CATENA DEL FANGO. I ragazzi dell’11 e del ‘70 si incontrano." Genova, 4 novembre 2013 - Accademia Ligustica di Belle Arti), non partire dalla propria esperienza personale prima di dire alcune parole sul valore delle testimonianze autobiografiche.

Nel 1970, in quanto quattordicenne liceale genovese, ricordo di aver partecipato allo sgomento generale di vedere l’intera città in ginocchio e di essere andato a spalare fango a Voltri, che era una delle zone più colpite della città. E’ stata senz’altro un’esperienza speciale, ma di breve durata e piuttosto estemporanea perché ero ancora molto giovane e le forti condivisioni con il gruppo di pari della mitica sezione G al Fermi, che durano ancora oggi, erano di là da venire con un solo mese di scuola alle spalle. Così il ricordo principale che conservo di quell’esperienza riguarda più mio padre che alla mezzanotte del 7 ottobre 1970 è partito a nuoto da via Buranello a Sampierdarena dove abitavamo per andare a recuperare il fidanzato di mia sorella più grande, un giovane lavoratore emigrante catanese, bloccato a Fegino da un fiume d’acqua tutto intorno; lungo la strada ha salvato una signora anziana che stava per annegare, l’ha poi raggiunto e l’ha riportato nella nostra casa nuotando per lunghi tratti in oltre tre metri d’acqua. Come si vede, quindi, è predominante  un ricordo ‘biografico’ riguardante mio padre piuttosto che uno specifico ricordo autobiografico.

Nel novembre 2011, in quanto maturo formatore cinquantacinquenne il principale ricordo dell’alluvione che conservo è invece legato ad una testimonianza scritta che ho realizzato per il sito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari all’indomani del 4-5 novembre, colpito anch’io come molti altri dall’aiuto praticamente immediato che è venuto da molti giovani, facendo subito pensare ad una riproposizione dell’esperienza degli angeli del fango del 1970 a Genova ma anche del 1966 a Firenze. Scrivevo allora, fra l’altro, e mi piace ricordarlo in questa occasione:
“Ma c’è anche un altro silenzio possibile.
E’ il silenzio delle imprese memorabili.
Imprese che non nascono per gli onori della cronaca e quand’anche vi giungano, non ne dipendono.
Un vicino che strappa ad una morte orribile in uno scantinato due persone e si cruccia di non aver potuto fare di più.
Una mamma che salva la figlia prima di cedere alla furia degli elementi.
Una giovane che organizza una pagina face book e, aiutata da pochi amici, indirizza in maniera efficace migliaia di volontari.
Un cittadino qualsiasi che si mette al servizio degli altri svolgendo una piccola e semplice funzione, come distribuire migliaia di caffè, consentendo ad altrettante persone di provare un po’ di conforto e di moltiplicare gli sforzi.
Sono silenzi edificanti di imprese memorabili che parlano al cuore più che alla mente, ed incarnano la speranza di un qualche futuro per l’umanità.
Concludendo con questa osservazione:
Ci vorrebbero un po’ più di questi silenzi vitali al posto delle troppe parole assordanti che, purtroppo, sono state sparse a piene mani come sale sulle ferite della Terra.

Il valore delle testimonianze autobiografiche è consistente, perché tali testimonianze possono essere considerate una sorte di base comune che riguarda praticamente tutti, quasi ‘pre-formativa’. Qualsiasi apporto serio, prima di poter essere proposto a livello formativo, deve essere sperimentato e ‘vissuto’.
Ed è proprio ‘La scuola della vita’, come è intitolato uno degli ultimi testi di Gianpiero Quaglino, uno dei padri della formazione in Italia, che viene indicata come una pratica di formazione lungo tutto il corso della vita. E non solo, ma è l’esperienza di formazione che in realtà deve ‘inseguire’ la scuola della vita perché occorrerà “restituire all’esperienza di formazione quel carattere imprevedibile, indeterminato, imponderabile e talvolta anche inesprimibile che spesso finisce per assumere il corso stesso della vita.”
Fare un’esperienza è naturalmente indispensabile per avere, poi, qualcosa da raccontare, e l’aver partecipato allo sforzo comune di aiuto altruistico e condiviso, anche solo semplicemente spalando fango, rappresenta un’esperienza profondamente personale ma al contempo fortemente collettiva. E’ anche per certi aspetti un ‘mutuo-aiuto’ perché aiutando altri do’ un senso al fatto di esistere.
Inserire questa specifica esperienza nel proprio percorso autobiografico (che ricordo, da ‘autos’, ‘bios’ e ‘graphein’ ci richiama lo scrivere il proprio percorso di vita, e da’ quindi anche un valore particolare alla scrittura e non solo alla narrazione), fatto a due anni di distanza –come per gli ‘angeli del fango’ del 2011- o a oltre 40 anni da quegli avvenimenti –come per gli ‘angeli del fango’ del 1970- ha un grande valore perché è proprio dalle esperienze più emotivamente coinvolgenti che si può ripartire per capire come e quanto siamo cresciuti con questa ma anche con molte altre esperienze che si perdono nei meandri della mente.
Duccio Demetrio, che possiamo considerare il padre dell’autobiografia in Italia, in un suo testo fondamentale, ‘Raccontarsi’, ci dice: “L’autobiografia non è soltanto un tornare a vivere: è un tornare a crescere per se stessi e gli altri, è un incoraggiamento a rubare giorni al futuro che ci resta , e a vivere più profondamente (…) quelle esperienze che, per la fretta e la disattenzione degli anni cruciali, non potevano essere vissute con la stessa intensità.”
In questo modo l’autobiografia diventa un vero e proprio ‘viaggio formativo’, nel quale sono presenti non uno solo, ma diversi ‘io’: poter inserire la propria rievocazione autobiografica in una ‘prima grande rievocazione collettiva delle alluvioni’ –cito dagli organizzatori dell’iniziativa- e poterlo fare confrontandosi fra generazioni diverse rappresenta un valore aggiunto che sfata, fra l’altro, il mito della narrazione autobiografica come esercizio individualistico e solipsistico che rinchiude ciascuno nel proprio recinto esistenziale.

Conoscersi meglio scambiandosi racconti di esperienze comuni o diversificate è un’occasione preziosa. Utilizzare questa occasione per proseguire o avviare un proprio percorso di conoscenza autobiografica, oltre che di ricerca di confronti costruttivi, può rappresentare un’evoluzione sociale come capita di rado di incontrarne. In tempi così votati al pessimismo sarebbe un bel segnale in controtendenza. (G.M.)