martedì 30 dicembre 2014

NARRAZIONE PER IMMAGINI: il GAM di TORINO

"OPERA PRIMA" di ROY LICHTENSTEIN al GAM di TORINO

Oggi, 30 dicembre, siamo andati a visitare la mostra di Roy Lichtenstein "Opera Prima" al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Torino.
Vi aspetterete qualche immagine relativa alla mostra in una 'narrazione per immagini': e invece no!
Per il semplice motivo che non si poteva fotografare alcunchè. 
Ecco allora l'unico ricordo visivo autorizzato, con Loriana, reduce insieme a me dalla visita al Museo ed Andrea, in sosta pranzo di una consueta ed intensa giornata lavorativa, 'posare' davanti ad un manifesto gigante in Piazza San Carlo.



Ma non disperate, qualcosa da vedere c'è comunque perchè le opere delle collezioni permanenti erano fotografabili. 
Visto però che qualsiasi guida può rendervi edotti sugli autori e sulle opere in questione, vi proporrò solo alcune immagini che più di altre mi sono sembrate interessanti, limitandomi a qualche commento ironico e, tutt'al più, verosimile. 

Comincerei con una bicicletta appoggiata ad un lampione giusto davanti all'ingresso del Museo che non si riesce a comprendere se è stata abbandonata lì per essere preda di muschi e licheni, o se vuol essere una rappresentazione metaforica della rivincita della natura.

Proseguirei poi con due cerchi concentrici non facili da classificare: apprezzabile comunque la precisione geometrica e le campiture di colore.


Il passaggio successivo, costituito da un 'treno' di vecchie sedie di legno, risultava collocato nella sezione relativa alla 'velocità', e la foto leggermente sfuocata sembra aumentare la percezione del movimento di una installazione in realtà immobile.


Magnifico l'insieme successivo, dove l'enorme rappresentazione pittorica di un mondo colorato si estende progressivamente ad una batteria pronta per l'uso.


Il percorso prosegue con una natura immaginifica di facilissima collocazione, visto il tratto inconfondibile rinforzato da data e firma apposte sull'opera.


Per concludersi con l'ultima immagine interna di una potente maternità tutta intagliata nel legno.


All'esterno del Museo è ancora la natura ad imporsi mediante l'inconsueta scultura con albero sradicato...


...le cui radici sono capaci di trarre in inganno anche un ignaro piccione!






lunedì 29 dicembre 2014

FESTIVITA' TORINESI...RICORDANDO LELE

Aspettando Capodanno in quel di Torino

Qualche immagine natalizia l'avevo già preventivata per offrire agli amici uno spazio di 'distensione visuale' che potesse predisporre al meglio l'avvento di un ottimo 2015.

Quello che non avevo previsto era che il ricordo di Lele Luzzati potesse predominare sul resto.

Non che mi dispiaccia, certo. Anzi...

1. Catene montuose innevate, tutto intorno.

2. Percussionisti talentuosi per le vie della città

3. Il presepe di Lele, quello 'classico' nel centro di Torino

4. Un albero di luci...

5....ed un lampione colorato.

6. Dietro l'angolo, inaspettato, ancora Lele!

7. Natura con albero, al Parco del Valentino...

8. ...e ancora, albero con Luna.

9.Incontrando poi, al Castello, il Presepe di Lele che compie 12 anni...











... e come da copione, essendo il 29 dicembre, il Bambin Gesù è ormai giunto...

...mentre i Magi, secondo tradizione, attendono fuori dalle Mura.


10. Anche gli scoiattoli sono sul chi vive...ma questa è un'altra storia.











mercoledì 24 dicembre 2014

IMPRESSIONI AUTOBIOGRAFICHE DAL FESTIVAL DELL'AUTOBIOGRAFIA 2014



Portare a sintesi le tre giornate del 4° Festival dell’Autobiografia organizzato dalla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari nel secondo fine settimana di settembre– ma gli incontri nazionali, i simposi scientifici e i Cantieri della Libera si succedono fin dalla fondazione 17 anni fa- è compito arduo, poiché si sa che le elencazioni tendono ad annoiare.
Mi limiterò quindi, per dovere di cronaca, ad un breve riferimento agli oltre settanta ospiti, più o meno conosciuti –per fare un solo esempio c’era l’ex capo-dipartimento della giustizia minorile, ma c’erano anche alcuni detenuti del carcere di Opera in permesso- ed alle tre/quattrocento persone che hanno partecipato agli eventi dislocati in tutta la cittadina di Anghiari.
Ed ancora concentrerò in poche righe la pluralità di esperienze di chi è giunto ad Anghiari per affermare il valore e il diritto di avere una storia personale e di poterla raccontare. Esperienze in carcere, in medicina, nel lavoro sociale, nelle dipendenze, nella dimensione della terza età; ed ancora storie di cura, storie di migranti, storie della terra, storie di lavoro; un Premio per una grande personalità dello spettacolo e un Premio per valorizzare giovani ricercatori che la memoria e la scrittura esplorano e approfondiscono; un leggio al quale chiunque può accedere per narrare a voce alta una parte della propria storia.
Ci si potrebbe limitare a questo, ma il filo autobiografico che mi ha consentito di prendere parte in prima persona al Festival riguarda almeno tre diverse tipologie di contributi.
La prima riguarda tre grandi personalità del panorama nazionale: Don Luigi Ciotti, che ha incantato la platea con la semplicità ed il fervore del suo racconto autobiografico (largamente sconosciuto, cfr: http://giorgiomacario.blogspot.it/2014/09/don-luigi-ciotti-dallio-al-noi.html ); Caterina Chinnici, che ho avuto l’onore di intervistare e che ha restituito alla figura del padre Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia, la sua rettitudine ma anche la sua profonda umanità; infine Gigi Proietti, che ha intrattenuto con la consueta maestria le centinaia di persone presenti in piazza e accogliendo dalle mani del fondatore della LUA, Duccio Demetrio, il Premio Città dell’Autobiografia 2014, ha ricordato con modestia l’incipit della sua autobiografia ‘Tutto sommato’: “Un’autobiografia? Io? Tutt’al più quattro chiacchiere sul passato, sperando che a qualcuno interessi.”
Il secondo momento significativo, collocato nello spazio ‘Aperitivo con le storie’ e decentrato in diversi spazi del borgo, è consistito nel condurre un incontro su storie di LifeLong Learning, alla presenza di diverse sociologhe autrici del testo ‘Imparare, sbagliare, vivere. Storie di Lifelong Learning’ (Laura Balbo la curatrice) e dell’autore di un interessante testo sui ‘Drop-out’ (Federico Batini, direttore della rivista LLL – Lifelong Lifewide Learning). L’esplicitazione di diverse possibili chiavi di lettura dei testi presentati –dal valore dell’imparare e del disimparare, alla costruzione delle domande più che la ricerca di risposte, dalle esemplificazioni pratiche accanto agli apporti teorici, alle contaminazioni interdisciplinari- ha consentito un vivace confronto insidiando lo stesso orario della incipiente cena.
Il terzo avvenimento, cui ho assistito da semplice ascoltatore, ha riguardato l’autobiografia in carcere, che negli ultimi tempi ho potuto seguire e raccontare in due brevi ma significativi scritti: il primo sula visione del filmato ‘Levarsi la cispa dagli occhi’ ( http://giorgiomacario.blogspot.it/2013/09/festival-nazionale-dellautobiografia.html ) ed il secondo sull’esperienza nel carcere di Timisoara al recente II Congresso Mondiale sulla Resilienza in Romania (http://giorgiomacario.blogspot.it/2014/05/la-filarmonica-di-timisoara-e-il.html ). Dopo l’esposizione delle esperienze di laboratori autobiografici realizzati nel carcere di Bologna e il racconto partecipe di una detenuta del carcere di Verona ammessa al lavoro esterno grazie all’art. 21, sono stati un gruppo di detenuti ed ex detenuti del carcere di Opera che hanno catturato l’attenzione di tutti i presenti leggendo alcuni dei loro scritti appena pubblicati nel testo ‘Chiudendo gli occhi…Antologia sul sogno’. Veramente emozionante ascoltare le loro riflessioni poetiche che riescono ad evadere dalle alte mura del carcere.
E qui mi fermo, perché ciascuno è chiamato a sviluppare il proprio ‘filo autobiografico’, e lo può fare  solo…partecipando. Magari alla prossima edizione del Festival, nel settembre 2015.

(Articolo pubblicato sul n. 4 - dicembre 2014 di "Psicologi e Psicologia in Liguria - Edizione Flash", supplemento al Giornale dell'Ordine degli Psicologi della Liguria, pag. 3)

lunedì 8 dicembre 2014

CHI L’AVREBBE MAI DETTO

L’incredibile storia di Luigi Barile e delle ‘sue’ grappe

Luigi Barile non è un semplice commercialista, non foss’altro perché per molti anni, complice la grande amicizia con Don Andrea Gallo, si è occupato di tutti gli aspetti fiscali riguardanti la Comunità di San Benedetto al Porto, che proprio oggi -8 dicembre 2014- festeggia il suo 44° compleanno alla Chiamata del Porto di Genova.
Luigi Barile, detto ‘Gino’, è un giovane ottantaduenne che pochi giorni fa a Genova, presso il Museo del Mare, ha voluto festeggiare il suo compleanno offrendo a tutta la città la visione di un documentario sulla sua vita intensa, appositamente realizzato dalla regista Wilma Massucco ed intitolato “CHI L’AVREBBE MAI DETTO. Storia di Luigi Barile (Gino per gli amici)”.
Introducono il documentario, con poche parole che ne tratteggiano le diverse specificità, sia un docente di storia moderna dell’Università di Genova, Ferdinando Fasce, che il dott. Flavio Gaggero, una figura ‘mitica’ nell’ambiente genovese, illustre dentista indifferentemente di VIP nazionali e di persone modeste che non possono permettersi di pagarlo.
Ma è lo stesso ‘Gino’ a riassumere con grande efficacia il suo percorso autobiografico, e le sue parole si intrecciano con le successive immagini del documentario.
A sei anni il padre abbandona sia lui che la madre e la sua fame di sapere nasce proprio da qui, abbinata ad una estrema ristrettezza dei più semplici mezzi di sussistenza. Ed è proprio in questo periodo che riceve un grande aiuto dalla mamma di Don Andrea Gallo, che era una Dama di San Vincenzo.
Praticamente solo, all’età di 8-9 anni è costretto ad abbandonare la scuola dopo la 3° elementare ed a cominciare ad impegnarsi in un numero impressionante di lavoretti ed occupazioni utili a sbarcare il lunario.
Ma non demorde, e fra un lavoro e l’altro in un solo anno supera 1°, 2°, 3°media e 1°, 2°, 3° ragioneria portando ben 17 materie all’esame. Certo per una tale impresa cerca sostegno presso un paio di persone che lo aiutano, ma in particolare, visto che ha la macchina e guida abitualmente proprio per il lavoro di rappresentante che fa, contatta un professore e lo accompagna tutti i giorni nel tragitto casa-scuola concordando come compenso…sintetiche lezioni utili ad una veloce acculturazione. Certo il tragitto tendeva un po’ ad allungarsi, commisurandosi alla ‘fame di sapere’, ma il professore era cortese e faceva finta di non accorgersene.
A Don Gallo è fraternamente affezionato e condivide con lui tutte le posizioni sul Concilio Vaticano II e sul primato della coscienza, così caro al Don. L’8 dicembre 1970 supporta la nascita della Comunità di San Benedetto e, una decina di anni più tardi, in particolare del ristorante A' Lanterna. Certo non è semplice fare l’amministratore di un locale dove il 1° gestore scappa con la cassa più di una volta. Così come non è stato agevole far fronte, nei primi tempi, alle continue visite della Finanza che ‘bersagliava’ la Comunità ipotizzando chissà quali coperture, data la costante presenza di tossicodipendenti. “Ma Don Gallo era sempre pronto a perdonare e a ridare fiducia a chiunque avesse momenti di debolezza. Era questa la sua grande forza”, dice Gino con gli occhi che gli brillano.
Durante i molti passaggi lavorativi, alla fine degli anni ’50 Gino conosce ai cantieri navali dell’Ansaldo l’amico Nino Bormida, ed è di fronte ai bicchieri di latte distribuiti al bar aziendale per contrastare i fumi delle vernici che i due amici, parlando del futuro e rievocando le audaci ideazioni di Leonardo Da Vinci, si ripromettono di distillare, un giorno, una grappa di qualità.
Passeranno molti anni, quasi venti, e il ragioniere Luigi Barile nel frattempo diventerà commercialista, aprirà lo ‘Studio Barile’, ma deciderà anche di realizzare un suo vecchio sogno: quando il suo cliente distillatore ‘Cianela’ Lasagna è costretto a chiudere la sua distilleria a Silvano d’Orba, chiama il suo vecchio amico Nino per rilevare insieme l’attività. Lo guida un desiderio ed una motivazione ideale, non certo economica.
Compra botti di rovere usate da produttori di whisky scozzese, cura meticolosamente tutto il ciclo produttivo, utilizza vinacce da agricoltura biodinamica e riesce a produrre una grappa unica “che piace anche alle donne” proprio per la sua morbidezza. Luigi Veronelli, nel 2002, la proietterà nel gotha dei distillati internazionali definendola ‘la più buona grappa prodotta in Italia’. Ma sarà anche premiata dalla prestigiosa giuria del premio Wine and Spirit e sarà utilizzata per ben due volte come presente ai Grandi della Terra, sia in Canada che in Italia in occasione dei rispettivi Summit internazionali, e si potrebbe continuare a lungo decantando i risultati raggiunti.
Ma a conferma della multiformità dei suoi interessi e del costante impegno civile che lo contraddistingue, nel poco tempo rimasto Luigi Barile preferisce accennare alle assemblee della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, dove, difendendo i piccoli azionisti della Banca, denunciò con 7 anni di anticipo –nel 2007- le mille ruberie di cui i vertici della stessa banca stanno rispondendo proprio in questi mesi. Osservando mestamente: “In quegli anni i giornalisti della stampa facevano i portavoce, non davano certo notizie così scomode.”
Ed è a questo punto che in sala si spengono le luci e parte il documentario, che, pur pregevole, farà solo da cornice alle ultime parole di Gino che parlando della amatissima moglie Nuccia dice: “E’ lei che è stata capace di sintetizzare al meglio il mio impegno in distilleria, dicendo un giorno ad un giornalista: <Sa, non so se posso dirlo, ma sono convinta che mio marito sussurri agli alambicchi>”.

domenica 7 dicembre 2014

II CONGRESSO MONDIALE SULLA RESILIENZA - La pubblicazione

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Per chi fosse interessato alla documentazione dei lavori del II Congresso Mondiale sulla Resilienza che si è svolto a Timisoara in Romania dall'8 al 10 maggio 2014, ho appena appreso che sono stati pubblicati da Medimond International Proceedings.
Si può prendere visione della copertina e dell'indice (34 pagine sulle 1344 complessive) all'indirizzo:
 http://www.medimond.com/proceedings/moreinfo/20140508_index.pdf 
Si può invece eventualmente acquistarla al costo non troppo economico ma scontato (rispetto ai 120 euro della copertina) di 95 euro, al seguente indirizzo web:
http://www.medimond.com/proceedings/detail.asp?id=20140508 
Ricordando nell'occasione la bella esperienza di questa primavera, quando ho presentato al Congresso il mio intervento su 'Vite resilienti e suggestioni autobiografiche', ho ritrovato alcune foto che testimoniano l'incontro amichevole con i maggiori esperti mondiali in tema di resilienza.
A partire da Boris Cyrulnik, neuropsichiatra, per molti anni all'Università di Tolone e autore delle principali ricerche in tema di resilienza (suo il bellissimo volume 'Autobiografia di uno spaventapasseri' di cui potete recuperare la recensione che ho scritto a suo tempo all'indirizzo: 
http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1423&Itemid=77 ),
qui impegnato in plenaria al Congresso:
Cyrulnik nella sessione plenaria
e a cena la prima sera con un piccolo gruppo di francesi e di italiani:
Cena con Cyrulnik 
 Per proseguire con Sir Michael Rutter, primo professore di psichiatria infantile nel Regno Unito, all'Istituto di Psichiatria dal 1973 al 1998 ed attualmente professore di psicopatologia dello sviluppo, i cui incarichi di prestigio non si contano (fra questi Fellow of the Royal Society e Founding Fellow of the Accademia Europaea and the Accademy of Medical Sciences). 
Nella prima foto presenzia alla sessione su 'Adoption and Resilience' dove ho presentato il mio contributo:
Sir Michael Rutter nella mia sessione
mentre in questa successiva siamo insieme a lui e alla dr.ssa Ann Masten, figura di spicco nel panorama americano  (Irving B. Harris Professor of Child Development and Distinguished Mcknight University Professor of the Institute of Child Development at the University of Minnesota) ad una serata conviviale presso la Recas Winery:
Con Rutter e Masten
Infine, in questa foto ufficiale di gruppo sempre presso la Recas Winery, oltre a Sir Michael Rutter e Ann Masten, a me e alla collega Elena Malaguti dell'Università di Bologna, ci sono Serban Ionescu (il primo a destra), Professore emerito di psichiatria e psicologia clinica all'Università di Parigi 8 e dell'Università del Quebec a Trois Riviere e presidente del Congresso, la prof.ssa Evelyne Boouteyre (subito dopo) che insegna psicopatologia all'Università di Aix-Marseille (AMU), il prof. Michel Born dell'Università di Liegi-Belgio ed infine, subito di fronte a lui, la prof.ssa Mihaela Alida Tomita della West University di Timisoara che è anche stata l'onnipresente ed encomiabile coordinatore del Comitato Organizzativo Locale.
Foto di gruppo-Timisoara

sabato 18 ottobre 2014

VITE RESILIENTI E SUGGESTIONI AUTOBIOGRAFICHE


VITE RESILIENTI E SUGGESTIONI AUTOBIOGRAFICHE

Il lavoro formativo nazionale per le adozioni internazionali

Nel maggio scorso riportavo l'esperienza della Filarmonica che si è esibita nel carcere di Timisoara, al termine del 2° Congresso Mondiale sulla Resilienza.
http://giorgiomacario.blogspot.it/2014/05/la-filarmonica-di-timisoara-e-il.html 
Si è trattato di una esperienza molto significativa, ma era solo uno degli aspetti collaterali alla realizzazione del Congresso che ha visto la partecipazione di tutti i principali studiosi ed esperti provenienti da tutto il mondo.
Fra questi, certo non come protagonista di primo piano, ci sono anch'io ed ho voluto portare le riflessioni che negli anni hanno arricchito di suggestioni connesse all'approccio autobiografico i percorsi formativi nazionali per gli operatori che si occupano di adozioni internazionali.
Con un'attenzione specifica, e non poteva essere altrimenti, alle vite resilienti di molti dei bambini adottati ed alla resilienza come fattore significativo sia per i genitori adottivi che per gli operatori che li sostengono in questo percorso non facile, ma spesso entusiasmante.

La rivista che ha accolto il mio contributo, in inglese, è TODAY'S CHILDREN - TOMORROW PARENTS An Interdisciplinary Journal, edita dalla West University in Timisoara - Romania.
Il numero monografico è dedicato al tema: "Adoption, Attachment and Resilience" - June-September 2014 - Vol. 37-38, e raccoglie diversi contributi in tema presentati al Congresso.

Questa la prima pagina dell'articolo con l'abstract:

RESILIENT LIVES
AND AUTOBIOGRAPHICAL
SUGGESTIONS ITALIAN NATIONAL
TRAINING PROCESS IN THE FIELD
OF INTERCOUNTRY ADOPTION
Giorgio MACARIO1












Abstract
This report will consider the crossroad between two virtuous factors. On one hand, the multi-factorial and interdisciplinary approach that increasingly characterizes the concept of resilience today.
On the other hand the contributions of autobiographical method that enhances the history
of the individual in the family and in different contexts where they belong, contributing to the
spread of the ‘turning narrative’ in society and emphasizing the value of writing.
The area is referring to the training for inter-country adoptions in Italy, continuously active
since 2001, and we will try to find a shared area between resilient lives and autobiographical
suggestions, that tell us about the person but at the same time helps us to understand the society
that surrounds it.

Keywords: autobiography, resilience, writing, international adoptions, narratives.

1 Trainer and psychosociologist, (ITALY). E-mail: macario.g@gmail.com

Questa la traduzione in italiano dell'abstract:

Abstract
Questa relazione intende prendere in considerazione l’intreccio virtuoso fra due fattori. Da un lato l’approccio multi fattoriale e interdisciplinare che caratterizza sempre più il concetto di resilienza oggi. Dall’altro gli apporti del metodo autobiografico che valorizza la storia del singolo nella famiglia e nei diversi contesti di appartenenza, contribuendo alla diffusione della ‘svolta narrativa’ nella società ed enfatizzando il valore della scrittura. L’area cui si farà riferimento è quella della formazione per le adozioni internazionali in Italia, attiva con continuità dal 2001, e si cercherà di individuare un’area comune fra vite resilienti e suggestioni autobiografiche che ci parli della persona ma ci aiuti a comprendere la società che la circonda.

Keywords: Autobiografia, resilienza, scrittura, adozioni internazionali, svolta narrativa. 

Questo, infine, il link per poter scaricare, gratuitamente, l'intero numero della rivista:

http://tctp.cicop.ro/documente/reviste-en/revista-nr-37-38-en.pdf 

Pubblicato anche all'indirizzo:
http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=3664&Itemid=108 

venerdì 10 ottobre 2014

GENOVA-Istruzioni per l'uso: sostituire 4 novembre con 10 ottobre

Una strada è una strada.
Un fiume è un fiume.
Tutto procede correttamente quando l’ordine delle cose viene rispettato.
Ma quando i fiumi vengono ricoperti di strade imbrigliandoli entro tortuosi percorsi sotterranei, prima o poi, inevitabilmente,
le strade si trasformano in fiumi che proiettano oltre le loro acque torbide, seminando morte e distruzione.
Vengono così ingoiati, ad un tempo, manufatti inanimati e vite umane, perse per sempre.

Questo, in sintesi, l’antefatto di un mesto quattro novembre a Genova:
una città allertata sì, ma non abbastanza;
allagata anche, in abbondanza;
annegata pure, sei volte di troppo.

Al frastuono dell’onda di piena che deborda, delle lamiere accartocciate che stridono, delle grida laceranti che annichiliscono,
subentra il silenzio irreale delle strade deserte, della gente chiusa in casa, dell’acqua che ricopre gran parte del paesaggio consueto.

Ma c’è anche un altro silenzio possibile.
E’ il silenzio delle imprese memorabili.
Imprese che non nascono per gli onori della cronaca e quand’anche vi giungano, non ne dipendono.
Un vicino che strappa ad una morte orribile in uno scantinato due persone e si cruccia di non aver potuto fare di più.
Una mamma che salva la figlia prima di cedere alla furia degli elementi.
Una giovane che organizza una pagina face book e, aiutata da pochi amici, indirizza in maniera efficace migliaia di volontari.
Un cittadino qualsiasi che si mette al servizio degli altri svolgendo una piccola e semplice funzione, come distribuire migliaia di caffè, consentendo ad altrettante persone di provare un po’ di conforto e di moltiplicare gli sforzi.
Sono silenzi edificanti di imprese memorabili che parlano al cuore più che alla mente, ed incarnano la speranza di un qualche futuro per l’umanità.


Ci vorrebbero un po’ più di questi silenzi vitali al posto delle troppe parole assordanti che, purtroppo, sono state sparse a piene mani come sale sulle ferite della Terra.

Così scrivevo meno di tre anni fa all'indomani del 4 novembre 2011. 
Oggi è il 10 ottobre 2014 e Genova si ritrova incredibilmente nella stessa identica situazione. 
Apprendere dall'esperienza, più che difficile, sembra quasi impossibile.
Speriamo che almeno il 'silenzio delle imprese memorabili' possa ripetersi restituendoci un po' di umanità.

martedì 16 settembre 2014

DON LUIGI CIOTTI - DALL'IO AL NOI

Un filo autobiografico dal giovane Ciotti ai 50 anni del Gruppo Abele


L’arrivo di don Luigi Ciotti al Festival dell’Autobiografia di Anghiari organizzato dalla Libera Università dell’Autobiografia in questi primi giorni di settembre è un avvenimento già di per sé, data la fama del personaggio.

Esordisce dicendo che, in quanto nato a Pieve di Cadore sulle Dolomiti, si considera un ‘Patrimonio dell’Umanità’ alla stregua delle sue montagne natie. “Non è che sarò, in qualche modo e per contaminazione, da salvaguardare anch’io?” ironizza in apertura dell’incontro, e un brivido legato alle recenti rivelazioni sui gravissimi rischi che ha corso e corre tuttora, percorre la schiena delle oltre 200 persone stipate nel teatro.


Ma è Torino che fa da sfondo all’infanzia di un giovane Luigi trasferitosi con la famiglia al seguito degli impegni lavorativi del padre. Che avrà si un lavoro dignitoso, ma che per quanto riguarda l’abitazione dovrà accontentarsi di una baracca posta nell’area dove sorgerà il Politecnico di Torino.

La 1° elementare di Luigi inizierà con un mese di ritardo, perché la mamma dovrà faticare per destinare le poche risorse economiche all’acquisto dell’indispensabile grembiule nero con fiocco smisurato che pendeva da tutte le parti. “Potete ben capire come mi sentissi diverso dagli altri, e dicessi quindi in giro di abitare in un palazzo non ben identificato che celava la realtà della baracca in cui stavamo.”


“Ma la scuola, seppure in ritardo, inizia anche per me. Certo non nel migliore dei modi. Mi mettono nel primo banco, i mie compagni in fondo alla classe si mettono a fare chiasso, e la maestra non trova di meglio che rivolgersi a me con parole di rimprovero. Al mio gesto di stupore ad indicare perché si rivolgesse proprio a me –gesto che nella sua semplicità fa ridere tutti i compagni- lei dice: “Ma cosa vuoi tu, montanaro?!”. Capite, diceva proprio a me, patrimonio dell’umanità! Erano gli anni ’50, mi sentivo in torto, ma non avevo fatto nulla. Sarà per questo che, afferrato il calamaio che mi stava di fronte sul banco, senza troppo riflettere, gliel’ho scagliato contro e, data la distanza ravvicinata, naturalmente l’ho presa in pieno.


Appena entrato, ero già espulso da scuola. Certo, avevo sbagliato, ma a mio modo cercavo di comunicare. La figura più umana che ho incontrato in questa occasione è stata quella del bidello, che mi ha preso per mano e mi ha portato a casa.
Potete immaginare come facilmente le diversità si trasformino in avversità. Il compagno di buona famiglia –lo chiameremo Cicci, ma potrebbe essere Fuffi, Lilly, Giuggi e così via- descrive l’episodio alla propria madre che gli intima di non frequentare il ‘compagno cattivo’.

Cambierò anche scuola e mi trasferirò poi con mio padre a Orbetello in Maremma dove lui andrà a fare il capocantiere, per poi rientrare dopo qualche anno a Torino. Ma di una cosa mi sono convinto in quegli anni durante i quali spesso mi vestivo con gli indumenti dignitosi ma dismessi della San Vincenzo –forse gli stessi di Cicci, Fuffi e Giuggi-: tutti corrono ed etichettano, ma nessuno ascolta. Come nel caso del ‘lancio del calamaio’, gesto che nessuno, infatti, ha cercato di cogliere. E ci sono stati anche momenti in cui mi è sembrato di potermi smarrire.

Dopo le elementari, ‘naturalmente’ consiglieranno a mia madre di optare per l’avviamento professionale e non certo per le medie con il Latino (sembra di ascoltare Don Milani), e questo, con il mio diploma di Radiotecnico, condizionerà positivamente anche il mio atteggiamento di costante vicinanza alla strada, che mi ha insegnato il cammino e che mi vedrà a 17 anni avviare il percorso che porterà alla fondazione del Gruppo Abele.


E arriviamo al secondo episodio che considero centrale per le mie scelte di vita. Passavo ogni mattina per Corso Vittorio Emanuele e un giorno ho visto un signore con addosso ben tre cappotti che stava sempre su di una panchina. Leggeva in continuazione dei libri e con una matita rossa e blu, sottolineava. Non sapevo cosa fare, a 17 anni. Dopo diversi giorni mi sono fatto coraggio e gli ho detto se voleva che gli prendessi un caffè - tanto per intaccare quel senso di solitudine, mi son detto tra me e me-. E lui: zitto. Ho pensato che poteva non piacergli e gli ho detto ‘Magari un tè?’. E lui: zitto. A quel punto ho pensato potesse essere sordo, ma la testa che si girava ad una frenata di auto, che passava lì vicino, mi ha convinto che non era così. Testardo io, testardo lui, la cosa è proseguita per 12 giorni. Al dodicesimo giorno le sue prime parole sono state: “Io ti ringrazio per la tua amicizia”. Era un medico, amato e rispettato dalla gente che per vicissitudini gravi era finito a fare il barbone sulle panchine. Ma non pensava a sé, le sue preoccupazioni erano altre. “Sono stanco, sono vecchio e sono malato. Ma tu non pensare tanto a me. Vedi quei ragazzi che entrano in farmacia? –e mi indicò l’entrata della farmacia lì vicino- si procurano dell’alcool, poi vengono qui a prendere dei farmaci e so che poi si fanno ‘la bomba’. E’ per loro che dovresti fare qualcosa.”



E’ da questo incontro -e sono convinto sia stato un ‘dono’- che ho imparato che le tecniche sono importanti, ma il primo strumento da utilizzare è la relazione, l’ascolto. Certo studiare e documentarsi è necessario, ma le poche parole stentate scambiate con quest’uomo sono state determinanti. Una mattina sono passato, e non era più sulla panchina. Ma non posso certo dimenticarlo: carità e giustizia sono l’eredità che mi ha lasciato. Tutto quello che ho fatto in seguito sono convinto sia anche una risposta al compito che mi è stato affidato.

Due anni e mezzo dopo nasceva il Gruppo Abele, che l’anno prossimo, in coincidenza con i miei 70 anni, di anni ne compirà 50. Non avevamo niente, ma da quel niente è venuta la strada, la comunità, la pizzeria ‘il punto della situazione’. Certo abbiamo lasciato qualche affitto da pagare, ma a persone che potevano permetterselo, e che in molti casi, anni dopo, si sono sentite anche partecipi di quel contributo quasi ‘obbligato’.

La strada era la grande protagonista: non c’è un io, c’è un noi. (richiamo al testo più autobiografico scritto da Ciotti, ‘La speranza non è in vendita’, del 2011). Qui, oggi, non c’è Luigi Ciotti, perché insieme a me c’è tanta gente. Soprattutto gli ultimi ed i poveri che mi hanno insegnato. Ed anche la strada mi ha insegnato due cose: la fedeltà alle persone e la fedeltà a Dio, con il Vangelo e la Costituzione Italiana come fari. Ed allo stesso tempo ho imparato che per combattere l’anoressia esistenziale che affligge tanta gente che ha bisogno, occorre riempire la vita di vita.


In seguito, avevo già le mie cose, i diversi impegni che riempivano le mie giornate e, pur avendo già litigato con i preti, ho iniziato un percorso per vocazioni adulte a Torino. Ma in Seminario, non so quante volte ho fatto ‘morire’ tutti i miei parenti per potermi allontanare! Poi, alla sera, mi allontanavo senza permesso perché raggiungevo i ragazzi. Ed è in queste occasioni che ho realizzato che ci sono le spie anche fra i preti. Ma era inconcepibile troncare tutto. Ho poi saputo che era stato incaricato il vice-rettore di seguirmi e vedere dove andavo, ma questi, una volta arrivato ai confini del quartiere, se l’era data a gambe. Una sera, mentre scavalco una finestra, mi trovo il rettore davanti che, inaspettatamente, mi disse: “la prossima volta, chiedimi la macchina”.


Lo stesso Vescovo Padre Michele Pellegrino, mi ha sempre mostrato grande vicinanza. Io il gruppo l’ho voluto laico, anche se poi sono diventato sacerdote. Quando sono stato ordinato sacerdote, la chiesa si è riempita di ragazze di strada, ragazzi del carcere accompagnati e varia gioventù con minigonne e vestiti di ogni foggia, come usava in quegli anni. Padre Michele Pellegrino già allora portava una croce di legno (l’allusione alle innovazioni di Papa Francesco è chiara), e nonostante ciò ha voluto togliersela per indossarne una artigianale fatta dai ragazzi e legata da spago e filo. I segni sono sempre importanti, ed i ragazzi si sono riconosciuti, anche perché il Vescovo ha narrato questa celebrazione, semplificandola per renderla comprensibile.

Ma è alla fine della liturgia che mi ha fatto il dono più grande: guardando tutti i ragazzi ha detto loro: “Non lo mando in giro, ve lo lascerò: la sua parrocchia sarà la strada.”


Così il noi al centro è diventato un ‘centro droga’ in via G. Verdi a Torino: in una città che diceva che non c’era droga, tramite il coinvolgimento delle farmacie, in 18 mesi sono state seguite ben 4.000 persone! Cercando di superare una legge che prevedeva Ospedale Psichiatrico o carcere per i tossicodipendenti, un vero e proprio mostro giuridico; un posto dove non si denunciava e si tenevano le porte aperte. E poi i SERT e la nascita del cartello ‘Educare e non Punire’. E poi ancora il carcere per i minorenni, nel quale, con l’aiuto del magistrato Umberto Radaelli, siamo andati a dormire con i ragazzi incarcerati: naturalmente siamo stati tutti denunciati e l’esperienza è stata bloccata. E l’AIDS, con la nascita del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza e della Lega Italiana della Lotta all’Aids, organizzazioni che ho presieduto nelle fasi di avvio, nell’ambito delle quali si sono dovute prendere delle posizioni realistiche ad esempio rispetto al tema dei preservativi, anni dopo assunte anche dal Cardinal Martini.


Ma il noi ha assunto anche le vesti della reazione alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, con la morte di Falcone e Borsellino, quando ho capito che non bisognava lasciare soli coloro che sono impegnati in queste situazioni. Ed ecco la nascita di NARCOMAFIE e poi quella di LIBERA, organizzazione che conta ormai ben 1.600 associazioni aderenti a livello nazionale. Per rendersi conto che la mafia è un problema trasversale che non ha bisogno solo di risposte emotive, ma che va affrontato ponendosi tre grandi obiettivi: il primo, occorre una vicinanza ai familiari delle vittime di mafia, non solo nei giorni vicini alla tragedia ma anche in quelli lontani; il secondo, ci vuole molta più scuola e molta più cultura; il terzo –sempre più fondamentale- occorre portare via i patrimoni ai mafiosi, sequestrarli e farne un uso sociale. Era questo il sogno di Pio La Torre, autore della legge Rognoni-La Torre, che viene ammazzato quattro mesi prima che la legge venga approvata. Libera, da parte sua, ha raccolto un milione di firme per chiedere un uso sociale di questi beni sequestrati: ed a tutt’oggi più di 1.000 persone lavorano producendo e commercializzando i prodotti sotto il marchio LIBERA TERRA.

La forza della mafia non sta infatti dentro l’organizzazione, ma fuori: in tutti quei contesti dove si tollerano i soprusi e le ingiustizie che vengono perpetrate. Sono infatti 400 anni che parliamo di ‘camorra’; 200 anni che parliamo di ‘cosa nostra’; 100 anni che parliamo di ‘ndrangheta’. E il problema siamo noi, perché è necessaria una rivolta delle coscienze. Non basta commuoversi, bisogna muoversi, tutti.


E allora ancora la rivista Animazione Sociale, Il Centro Ricerche e Documentazione del Gruppo Abele, l’Università della strada. E il recente incontro fra Libera Università dell’Autobiografia e Gruppo Abele, con una scuola estiva di educazione narrativa per la costituzione di un archivio nazionale delle storie dei ‘senza storia’.

Occorre che ci siano più diritti e giustizia.

Io sono ancora qui, vivo. Ma questo importa relativamente perché c’è sempre un noi. C’è anche un’altra Italia che sta crescendo.

Possono anche ammazzarmi, con tutte le mie fragilità e i miei limiti. La mia parte ho cercato e sto cercando di farla al meglio delle mie possibilità, tentando, per quanto possibile, di mantenere la promessa ideale fatta a suo tempo al signore sulla panchina.” 
(a cura di Giorgio Macario)