martedì 27 maggio 2014

Un tramonto, sulla Piana di Anghiari


INSEGUENDO IL TRAMONTO




La sera sta calando sulla piana di Anghiari.

Decine di rondini volteggiano nel cielo seguendo traiettorie bizzarre e, in apparenza, solitarie.

Le campane battono incessanti rintocchi che tutto ad un tratto svaniscono nell’aria fresca e pungente.

Il contorno dei monti che sul versante marchigiano digradano fino alle spiagge sabbiose dell’adriatico è nitido e frastagliato.

Tutto appare immobile ma nulla si ripete eguale a se stesso.

Anche noi, inseguendo il tempo che fugge via, non facciamo altro che percorrere sentieri già solcati da altri.

Crogiolandoci nella magica illusione di lasciare un’impronta che non svanisca con la prima brezza del mattino.

Vivere, e scrivere, non è molto, ma è già qualcosa.

Molti, infatti, non scrivono; e forse, ancor di più, non vivono.

Desiderando sempre altro, consumando vagoni di merci superflue, ingurgitando illusori placebo universali.

Troppo di tutto e nulla di insaturo.

E’ così che il vuoto si espande nella desolazione dell’abbondanza apparente.

Ora che l’eccesso svanisce, l’essenziale risorge.

Può sembrare banale, ma non tutto il male vien per nuocere.

Scrivendo, si può ricominciare a sperare.

In attesa che con le prime luci dell’alba possa sorgere un nuovo giorno e, forse, una nuova vita.

domenica 18 maggio 2014

LA FILARMONICA DI TIMISOARA E IL RESPIRO DELLA VITA





Il secondo congresso mondiale sulla resilienza si è appena concluso e centinaia di esperti provenienti da 25 diverse nazioni sono ancora intenti a metabolizzare i numerosi spunti di riflessione maturati in tre giorni di serrato confronto.
Anch’io mi appresto a rientrare in Italia, ma senza fretta, e ciò mi consente di vivere un’esperienza che difficilmente potrò dimenticare.

Il primo impatto non è certo leggero: appuntamento con perquisizione all’ingresso. Ma stiamo parlando del carcere di Timisoara, e non poteva essere altrimenti.
La collega Mihaela Tomita che oltre ad insegnare all’Università è anche responsabile dell’Unità Antidroga, ha agevolato il mio autoinvito, mentre il direttore del carcere, Joan Bàla, ha accolto la richiesta con grande sollecitudine.
Ma sono il direttore della BANATUL Filarmonica di Timisoara, Joan Coriolan Girboni, il Maestro Aurel Manciu e gli orchestrali tutti, oltre a più di un centinaio di detenuti presenti fisicamente all’iniziativa, alcuni con le famiglie in visita, a creare un evento di realismo magico nel senso letterale del termine: reale ed inconsueta l’eterogenea presenza in un luogo di detenzione; magica e vitale, col succedersi dei minuti, l’atmosfera.

Mentre la luce del sole si affievolisce sempre più, nel cortile del carcere le note in libertà, frutto dell’accordatura dei vari strumenti, si inseguono e si sovrappongono.
Nessuno sembra essere al suo posto: non i detenuti, seduti in gran parte in prossimità dell’alto edificio con le finestre sbarrate, e le non molte famiglie sparse in mezzo a loro; non gli orchestrali abituati ad ascoltarsi nella solennità delle sale concertistiche; tantomeno le guardie carcerarie parzialmente defilate verso il fondo del cortile ed i non molti invitati, fra cui io, a sinistra dell’orchestra. Ma tutti sono esattamente al loro posto in questa serata particolare. Anche perché apprendo che si tratta di una sorta di ringraziamento della Città, e della Filarmonica in particolare, ai detenuti che hanno contribuito con il loro lavoro, in parte anche volontario, al ripristino di giardini e arterie stradali (effettivamente la Città sembra un enorme cantiere in progress!).

Superstar, Don’t cry for me Argentina, King’s Herod’s song e Memory sono le arie che rompono il ghiaccio, ma solo in apparenza: gli sguardi che vengono spediti tutt’intorno sembrano più interessati a capire chi altro c’è che non a farsi rapire dalle armonie di film pur conosciuti da tutti.  Gli applausi non vengono lesinati ma nemmeno ‘sprecati’.

Con il secondo passaggio musicale i ritmi si fanno più serrati ed ecco le musiche dei Pirates of the Caribean (con qualcuno che, promuovendo come ‘avventurieri’ i presenti sul campo, sussurra: “Pirati dei Caraibi o Pirati di Timisoara?”). I volti che pur si distolgono dal palco con una certa frequenza, sembrano aver acquistato maggiore sensibilità alle sonorità che riempiono l’aria. E’ a questo punto che, vedendo diverse telecamere puntate sul palco, apprendo che non ci sono solo alcune televisioni locali e via cavo, ma che il concerto è trasmesso in diretta in tutte le celle del carcere dove sono rinchiusi gli altri 1.100 detenuti. E’ una comunità separata che diviene partecipe come può, e l’averci pensato è sicuramente un punto di merito per gli organizzatori.

Il terzo step prevede una selezione di brani da Starlight Express di Andrew Lloyd  Webber e viene introdotto anch’esso, come anche i precedenti ed i successivi, dal direttore Girboni che ha un feeling particolare con il maestro Manciu e mostra una vena ironica che riesco ad apprezzare anch’io, grazie alle cortesi traduzioni in shushotage della mia ospite e guida. Ma è il direttore del carcere che, invitato nuovamente a dire qualche parola dopo l’introduzione dell’iniziativa, svela ai presenti la particolare emozione del direttore d’orchestra, che più di vent’anni fa, sotto il regime di Ceausescu, è stato detenuto in questo stesso carcere come dissidente politico. Un superamento resiliente delle mille possibile traversie della vita, verrebbe da dire, mentre il suo successo in Germania e l’affermazione professionale viene indicata come possibile speranza di riscatto, in particolare per chi è temporaneamente privato della propria libertà. I volti sono adesso tutti per lui, che si schernisce e che viene salutato da un lungo e caloroso applauso.

Sulle note della prima tromba che conquista la testa del palco, accanto al direttore d’orchestra, si avvia il passaggio successivo con Over the ranbow tratto dal ‘Mago di Oz’. Nel cortile svettano due grandi alberi e quando la musica si fa più tenue alcuni uccelli cinguettano il loro messaggio di libertà, che sembra superare i pur alti muri della prigione. E’ scesa ormai la sera, ed un faro proietta immagini colorate sull’alto muro laterale: è allora che scorgo, dietro alle sbarre delle finestre collocate su diversi piani, le sagome ed i volti di molti detenuti; qualche luce è accesa, ma i più sono in penombra. Molti ascoltano e seguono lo spettacolo; pochi altri si muovono per altre faccende e sembrano ascoltare più distrattamente.

Il passaggio al quinto ed ultimo brano, una selezione della Star Wars Saga, viene accompagnato da una crescente partecipazione dei presenti, non solo con applausi più convinti, ma con mani e piedi sempre più mobili, a seguire il ritmo incalzante dei brani. E’ come se la fissità del corpo e dell’anima cui costringe la detenzione si sciogliesse in una partecipazione corale, questa sì senza discriminazione alcuna. Vedo alcuni volti di padri detenuti, con i loro bimbi in braccio, accendersi del giusto orgoglio di essere stati capaci di offrire loro una serata diversa dal solito: la bellezza della musica, anche se solo per un attimo, sembra poter prevalere sulle asperità della vita. La rievocazione dell’Impero del Male, caratterizzata da tonalità grevi, assume le vesti del dolore e dello sconforto che così spesso attanagliano gli animi; ma ben presto la tensione si stempera e il trionfo del Bene trasuda da ogni ampia nota che si diffonde tutt’intorno: è così che i grandi spazi stellari hanno la meglio sul grigiore di mura e sbarre.

Nella marea di applausi che si riversano sull’orchestra e sul suo Maestro, il Bene che trionfa non appare solo un auspicio, ma sembra sempre più una certezza appena velata dalla tristezza dell’attesa che tutto debba concludersi, che ci si debba salutare e che gli affetti siano nuovamente messi alla prova della distanza. Ed è a questo punto che il direttore d’orchestra, nel concedere un paio di intensi e prolungati bis scanditi da un battimano corale, riesce nel miracolo di rendere tutti partecipi dell’entusiasmo generale. Da ciascuna finestra, anche da quelle in precedenza più ‘distratte’, decine di detenuti premono sulle inferriate con le mani protese verso la piazza.
Tutto accade in un attimo: l’orchestra continua a suonare, il pubblico batte le mani partecipe del ritmo, lo stesso direttore è uno fra i primi ad alzarsi in piedi ed il Maestro non è più al suo posto. Ma basta girare lo sguardo tutto intorno per vederlo in mezzo al pubblico ad incitare al battimano e condividerlo, ‘battendo il cinque’ con i più giovani fra loro.
La guida degli orchestrali si trasforma in men che non si dica nello spirito vitale che richiama ciascuno a sentirsi partecipe di un momento speciale, e l’entusiasmo contagioso dell’affermato ex-detenuto di un tempo spazza via qualsiasi avversità. I ‘bravo!’ ed i fischi di approvazione non si contano più ed il respiro della vita avvolge pubblico ed orchestrali in un intenso abbraccio corale.


Uscendo penso alla buona sorte che ha consentito a me ed ai molti coinvolti di assistere alla creazione di un ricordo resiliente che riscalda il cuore. Lo stesso concerto programmato come social program per i partecipanti al congresso mondiale sulla resilienza che viene riproposto in questo contesto così inconsueto: una magnifica occasione per aprire un varco alle ‘passioni gioiose’ in questa nostra epoca di ‘passioni tristi’.