domenica 20 marzo 2016

LA STORIA DI JERREH

UN LUNGO VIAGGIO

Ieri era il 19 marzo 2016, festa del papà.
Ho trascorso la giornata in maniera piuttosto particolare, rispondendo positivamente all'invito rivoltomi da  Federico Zullo, presidente nazionale (riconfermato per il prossimo triennio) dell'Associazione Agevolando,
A Bologna, con una sessantina di associati provenienti da diverse Regioni, si è svolta la loro assemblea nazionale intitolata 'Raccontandoci', alla quale ho portato un contributo formativo su 'Percorsi autobiografici e sviluppo resiliente'.
Al termine della sessione formativa vengo informato che uno dei ragazzi dell'associazione avrebbe avuto piacere di farmi avere un  libretto che lo riguardava e che aveva appena scritto con l'aiuto di Roberto, presumo uno dei suoi educatori.


Il 'lungo viaggio' è la storia di Jerreh, oggi diciottenne, che nel gennaio 2014 si è messo in viaggio dalla città di Brikama in Gambia attraversando Mali, Burkina Faso, Niger e Libia, prima di avventurarsi, dopo mille vicissitudini, nel Mar Mediterraneo su di un gommone ("In piedi, uno stretto all'altro, nella notte buia, nel mare nero. Senza giubbotto, senza cappello, senza pane, senza acqua, stavo male ma non avevo paura...") ed approdare, infine, in Sicilia.


Ecco alcuni dei passaggi del suo racconto.

"Nel mio cuore volontà e tristezza: davanti a me mia madre, i suoi occhi sono pieni di lacrime (...) Mio fratello non piangeva con gli occhi ma col cuore. (...) so che dovrò attraversare un deserto grande come il mare e un mare grande come il deserto (...) Fino ad allora non avevo mai pianto, anche se nel mio cuore sentivo una grande nostalgia. Comunque non c'è stato mai un momento in cui ho pensato di di tornare indietro. (CAP.  PRIMO)

" Un mese lunghissimo (ad Agadez, nel Niger centrale) ad aspettare che ci siano abbastanza persone per riempire il pick up che ci porterà in Libia, al prezzo concordato di 10.000 cfa a testa, (...) Ogni giorno passava sempre uguale al giorno prima e al giorno dopo: non potevo uscire di casa perchè non avevo documenti, se la polizia mi avesse fermato senza documenti mi avrebbero messo in prigione e la prigione in Niger non è come un albergo (...) Il deserto è un mare tutto uguale (...) Non avevo mai immaginato che la notte nel deserto fosse tanto fredda (...) Arrivati al confine (...) I soldati sparano, ma nessuno di noi viene colpito e il viaggio continua: siamo in LIBIA." (CAP. SECONDO)


" A volte abbiamo incontrato un posto di blocco e dei soldati che sparavano e il nostro autista che accelerava e rispondeva agli spari mentre noi tremando di paura ci rannicchiavamo sul fondo. (...) (A Tripoli) Mi è capitato che mentre tornavo a casa stanco dal lavoro, alcuni bambini ci prendevano in giro, ci picchiavano anche perchè vedevano la nostra pelle nera, ma noi non potevamo difenderci, non potevamo reagire. (...) A volte restavo tutto il giorno ad aspettare per niente e quel giorno niente lavoro, niente soldi e niente cibo. (...) Ma dov'è  l'Europa e che cos'è l'Italia? Io non sapevo niente, sapevo soltanto che era ormai arrivato il momento di partire. (...) Dopo poco la musica cambia. Ci fanno coricare per terra con le mani in avanti sopra la testa. E intanto con il manganello ci picchiano sulla schiena e sul sedere. Poi ci chiudono in prigione. Tre giorni senza mangiare e con tanti brutti pensieri nella testa che non ci lasciavano dormire. (...) Alle otto del mattino ci hanno portato in riva al mare. Li siamo rimasti per giorni ad aspettare il momento di partire, finchè una notte::: Eravamo forse in cento. Come potevamo stare tutti su quel gommone? (CAPITOLO TERZO)


"In Sicilia con un pulman ci hanno portato in aeroporto. Era la prima volta in aereo. Tanta fatica per arrivare in Italia e ora mi tocca morire su questo aereo. Il decollo è stato tremendo. Ma l'aereo non è caduto ed è atterrato tranquillamente a Bologna. Da Bologna in macchina fino a Tabiano (PARMA), nella comunità che mi ospiterà finchè sono minorenne. (...) Ho fatto una doccia e dal mio corpo e dai miei capelli scendeva un'acqua nera nera. Ora vado a dormire, ma da domani la mia storia continua... (CAPITOLO QUARTO).

Jerreh -ci informa nel risvolto di copertina- sta imparando a cucinare, a cucire, a coltivare un orto, andando a scuola e studiando l'italiano, in modo da poter scrivere da sè il prossimo libro.



Subito non mi è venuto in mente, e quindi non ho potuto dirglielo ieri, quando molto affettuosamente ha voluto scrivere di suo pugno la dedica sul suo libro, ringraziandomi. Ma giusto sei anni fa, nell'aprile 2010,  ho organizzato e condotto, con l'Istituto degli Innocenti e per conto della Commissione per le adozioni internazionali, una formazione a Firenze della durata di una settimana, dedicata al gruppo dei responsabili per le adozioni internazionali della Repubblica del Gambia.
E' stata una bella esperienza, che ha cercato di accrescere l'attenzione al futuro dell'infanzia spiegando alla delegazione  del Gambia gli sforzi dell'Italia per accogliere al meglio i loro figli tramite il canale delle adozioni internazionali. Un ambito diverso da quello descritto nell'odissea vissuta da Jereh, ma pur sempre uno dei mille aspetti e forme dell'accoglienza che speriamo possano contribuire a rendere meno aspri ed accidentati i cammini della vita per tutti i giovani.
In attesa di poter leggere ed apprezzare il prossimo lavoro di Jereh.





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