mercoledì 27 luglio 2016

UN ANNO IN ITALIA di Jerreh Jaiteh

Il viaggio di Jerreh continua...


Solo 4 mesi fa presentavo sempre su questo blog ‘La storia di Jerreh’: un ragazzo arrivato, come tanti, da varie parti del mondo (nel suo caso dal Gambia) con un viaggio -‘Il lungo viaggio’ appunto il sottotitolo del suo primo lavoro- difficile anche solo da immmaginare, al riparo delle nostre abitudini consolidate.


Pochi giorni fa ho ricevuto un paio di copie del suo nuovo lavoro, prodotto con il contributo dell’associazione ‘Agevolando’, ed ho subito provveduto ad inviargli il corrispettivo del costo (5 euro a volume) più un costo forfettario di altri 5 euro per la spedizione. Ve lo segnalo subito perchè a fine presentazione vi segnalerò la sua email e il numero di IBAN per chi fosse interessato a ricevere il suo nuovo lavoro e versare il costo relativo.
Una piccola digressione: una tale modalità di ‘autopubblicizzazione’ del proprio volume (in questo caso faccio volentieri da promotore-intermediario) è molto ‘soft’ se paragonata a quella utilizzata da un certo W.H.Davies ai primi del Novecento, e descritta da G. B. Shaw nella prefazione al suo volume autobiografico poi pubblicato nel 1908!


Ma tornando a Jerreh, possiamo proprio dire che il suo viaggio è continuato...qui in Italia.
Per raccontarvi questo suo primo anno in Italia dovrei trovare altre parole di sintesi rispetto al suo racconto.
Ma credo di fargli un miglior servigio presentandovi alcuni passaggi del suo scritto, in modo da fornirvene un ‘assaggio’ che potrete agevolmente completare fino a saziarvi con un modico contributo.



Straordinaria l’accoglienza (...) straordinario poter andare a scuola e lavorare, straordinario passeggiare in mezzo a gente amica in una città amica, senza doversi guardare intorno con sospetto e paura (...) dormire tranquillo senza il timore di essere svegliato da spari nel cuore della notte (...) per me la vera avventura straordinaria è questa, non è stato il viaggio!” (Cap. 1)

“Quando sono partito dalla Libia era una sera d’estate, dopo due giorni sono arrivato in Sicilia. Ero felice d’essere arrivato vivo.” (Cap. 2)

“In estate andavo con Italo, Juma e Ouajdi in piscina ma io non entravo in acqua perchè avevo male ad una gamba. In realtà questa era la scusa che trovavo per giustificare la paura dei brutti ricordi che qualsiasi distesa d’acqua mi faceva tornare alla mente. L’acqua preferivo guardarla dalla riva...” (Cap. 3)

“Agevolando all’inizio era per me un gruppo di persone che potevano aiutarmi in tante cose. Poi a mano a mano che freuentavo, ho capito che era anche molto di più.(...) Penso che sia importante per i ragazzi che sono in Comunità freqquentare i gruppi di Agevolando perchè così possono sentirsi più sicuri riguardo il loro futuro e capire fin da subito che la loro esperienza può servire anche per aiutare gli altri.” (Cap. 5)

“Io e Juma andavamo a lezione a casa sua (da Roberto, un maestro in pensione n.c.), i primi giorni eravamo puntuali poi però siamno arrivati in ritardo e Roberto si è arrabbiato moltissimo, così ho imparato che la parola PUNTUALE qui in Italia è importante: da allora ogni volta che davo un appuntamento dicevo ‘Però PUNTUALE eh!’. In Gambia invece la puntualità nessuno sa che cosa sia: uno arriva quando arriva e gli altri aspettano.”  A seguire “Questa è la ricetta del Mafe:.....” (Cibo africano, indovinate un po’ come soddisfare la vostra curiosità?)   (Cap. 8)



“Nel 2015 ho cominciato ad andare nelle scuola per raccontare la mia storia agli studenti: è importante per me, ma anche per loro, soprattutto per i bambini perchè non crescano con idee razziste.” (Cap. 12

“I loro consigli sembravano quelli che mi dava la mia mamma. Mia mamma diceva anche: ‘Gli uomini sono nati per affrontare le difficoltà, le donne invece per affrontare il dolore.’ Ma come è scritto nella Costituzione italiana, credo che non ci sia differenza tra gli uomini e le donne. Certo tutti hanno gli stessi diritti.” (Cap. 13)

C’è anche una canzone scritta da Fabio, che fa parte di un gruppo RAP, e la canzone si intitola proprio ‘Il viaggio di Jereh’, perchè è ispirata al suo primo lavoro. La trovate alle pagg. 24/26.



Ed infine, “Il 14 giugno 2015 è stata una data molto importante per me perchè ho festeggiato il mio diciottesimo compleanno. (...)Il quel momento il mio amico Pasquale ha detto: ‘Adesso sono cazzi tuoi’” (Cap. 16)

Nelle ultime pagine vengono riportati alcuni ‘pensieri e critiche’ verso Jerreh espressi da diverse persone che ha conosciuto. Ma non posso non concludere ancora con le sue parole, che sono un esempio di ‘resilienza applicata’:
“Di fronte alle difficoltà il mio motto è:
            SORRISO E CORAGGIO”


Il mio augurio sincero è che il coraggio e l’allegria di questo ragazzo possano essere contagiosi, per molti dei suoi ‘compagni d’avventura’, ma anche per tutti noi. Di questi tempi ne abbiamo proprio bisogno.


JERREH JAITEH

IBAN: IT26Y0306912765100000000985    

lunedì 25 luglio 2016

LA MUSICA E' PERICOLOSA (Nicola Piovani)


LA MUSICA E' PERICOLOSA (Nicola Piovani, Rizzoli, 2014)


Presentazione di Giorgio Macario

Nicola Piovani, Premio Oscar per le musiche del film ‘La vita è bella’ (1999), fin dal titolo della sua autobiografia musicale (meglio definita in 4° di copertina come ‘la vita cantabile di un grande musicista’, una vita intera letta attraverso le musiche, trascorsa con la musica e ad essa dedicata), mette in guardia il lettore utilizzando le parole di Federico Fellini sulla pericolosità della musica.

Affermazione che subito -lo confesso- mi ha un po’ spaventato, più per i possibili riferimenti dotti e specialistici che non per eventuali risvolti rischiosi. Ma poi leggo: “Mi capita così: la musica che mi seduce è quella che sa sorprendermi, e arriva spesso da zone diverse da quelle che mi aspetto, quando meno me lo aspetto.” E questa apertura al nuovo ed all’inaspettato mi ha trasmesso maggiore fiducia sul fatto che anche la lettura di un ‘non specialista’ potesse non dispiacere al Maestro (nel senso di ‘artigiano che fa suonare le orchestre’ e non certo di ‘profeta che insegna il Verbo’).

D’altronde scrivere una recensione ha a che fare in genere con una lettura esperta di un testo e con l’offerta di citazioni il più possibile ‘dotte’, mentre la stesura di un invito alla lettura di carattere autobiografico -quale la presente- comporta il ripercorrere quanto l’autore offre di sè ai lettori cercando a propria volta quali sintonie ed echi personali il testo riesca a far risuonare.

La prima consistente sintonia non solo con il mio percorso personale, ma con l’impostazione stessa dell’approccio autobiografico che si pratica alla Libera Università dell’Autobiografia, l’ho trovata nelle diverse sottolineature che Piovani fa sull’importanza dell’ascolto. Dice Piovani: 
“Comincio  a pensare che l’attitudine all’ascolto, come istinto naturale e interessamento al prossimo, debba essere una premessa fondamentale dell’intelligenza creativa. L’autoreferenzialità alla lunga asfissia e istupidisce.” 

Che è esattamente un principio base dell’intreccio fra sensibilità autobiografica e attenzione biografica così come declinata nei percorsi di approfondimento della LUA. Essere capaci di ascoltarsi è solo un punto di partenza, mai inteso in senso solipsistico, ma da affinare continuamente tramite l’attenzione e l’ascolto delle storie altrui.

I riferimenti a “episodi formativi personalissimi”, spesso vissuti accanto a grandi artisti, abbondano lungo i dieci capitoli del testo, ciascuno dei quali si conclude con un limerick -un “breve componimento in poesia...non sense, umoristico o scapigliato” con rime che seguono lo schema AABBA, ci spiega lo stesso autore- come richiamo della passione per l’enigmistica e la metrica.  Uno fra questi ha colpito in particolare la mia attenzione; recita così: 
L’illuminista logico totale/
voleva trasformare in quanto il quale./
Quantizzò la bellezza di un sorriso/ 
sommandone i millimetri del viso,/ 
Confondeva la somma con il totale. 
L’ho trovato molto vicino alla citazione del professor Keating, nell’Attimo fuggente, sulla formula geometrica dell’area della poesia di Evans Prichard, con la forma e l’importanza dislocate in ascissa ed ordinata. Geniale a dir poco, come trovata dissacrante.

Ma le citazioni dei grandi registi, attori e compositori frequentati, pur ricordati con episodi personali spesso ‘simpatici’, rischierebbero di mettere in ombra la vera vena autobiografica del volume, che dai ricordi musicali d’infanzia che coinvolgono anche i familiari, passano alle contaminazioni della gioventù fra ‘musica forte’ e ‘musica debole’, transitando per la fonovaligia Lesaphon Perla, utile per entrambe. E ancora dalla passione musicale per le Bande ereditata dal padre (e proposta a Roberto Benigni con ‘La banda del pinzimonio’) al grande eclettismo musicale del nostro così ben sintetizzato: 
“Per scegliere in libertà bisogna conoscere. Per conoscere, bisogna essere in grado di ascoltare musiche diverse. (...) c’è un tempo per tutto: un tempo per scegliere di ascoltare Wagner e uno per scegliere di ascoltare Armstrong, uno per Stravinskij e uno per De Gregori, uno per Monteverdi e uno per Frank Zappa, uno per Fischer-Dieskau e uno per Celentano, nella libertà di scelta totale, che presuppone conoscenza.”

Ciononostante non si pensi ad una posizione equidistante ed ‘ecumenica’ dell’autore che non lesina , al contrario, nè il resoconto di duelli ‘in punta di penna’ con critici musicali, nè le disavventure con certe esperienze di musica d’avanguardia e di musica contemporanea.


Concludendo con una rivelazione che merita di essere citata perchè smentisce quanto sull’autore riportato da Wikipedia, che alla voce ‘Nicola Piovani’ dice: “Si dichiara profondamente ateo.” Frutto probabilmente di un misunderstanding per un convegno genovese del 2011 nel quale alla locandina ‘Margherita Hack e Nicola Piovani: una vita senza Dio’, fece aggiungere un punto interrogativo, perchè chiamato da un amico a sostituirlo come relatore e fino all’ultimo all’oscuro che il convegno fosse intitolato ‘Sbattezzati e felici’ e fosse organizzato dall’Unione atei e agnostici razionalisti. In realtà il rapporto con la religiosità attraversa costantemente il rapporto con la musica, e più che la forma all’autore sembra interessare la sostanza. Tanto che trova una forte vicinanza nelle parole di un gesuita conosciuto tramite Fellini, padre Arpa, che alla domanda sul perchè un religioso come lui non gli chiedesse nulla sul suo rapporto con la religione, questi rispose: 
“Tu frequenti la musica, la componi, sei in contatto con la spiritualità ad alto livello, non hai tanto bisogno di religioni storicizzate e liturgie sacre.” 

Ed è lo stesso Piovani ad affermare, in modo laico ma costantemente aperto al confronto: 
“io non rinuncio, fra lampi e smarrimenti, alla ricerca della dignità dell’esistenza, alla voglia di non vivere a caso, al rispetto per la vita e per il prossimo, all’interesse per l’altro e l’oltre”, confermando, se ce ne fosse ancora bisogno, una forte sintonia con la comunità degli autobiografi, che proprio nel prossimo Festival gli consegnerà il Premio Città dell’Autobiografia 2016.

Pubblicata anche sul sito della Libera Università dell'Autobiografia:
http://www.lua.it/index.php?option=com_content&task=view&id=4140&Itemid=41   

sabato 23 luglio 2016

Festival dell'Autobiografia 2016




E anche quest'anno siamo giunti alla vigilia del mese di agosto, che si spera conceda un meritato riposo a tutti coloro che possono permetterselo.
Ma sono ormai cinque anni che alla Libera Università dell'Autobiografia ci si impegna a fondo per preparare l'appuntamento della ripresa post-estiva che funziona anche da piccolo prolungamento delle vacanze.

Il Festival dell'Autobiografia 2016 ci aspetta quindi ad Anghiari (Arezzo - Toscana - Italy) nel primo fine settimana di settembre, con inizio giovedì 1 settembre nel tardo pomeriggio e termine all'ora di pranzo di domenica 4 settembre.

Ogni anno al Festival accadono molte cose, e le potrete trovare tutte ben elencate nel programma completo al link 'Libretto' posto al termine di questo post: troverete praticamente tutto ciò che di rilevante e significativo è stato scritto e fatto in quest'ultimo anno, e non solo.
Ma più che offrirvi un elenco 'asettico' che duplicherebbe molte delle cose già scritte, preferisco ripercorrere 'autobiograficamente', ed in breve, quanto spinge me ad essere presente a questa quattro giorni.

Intanto il Premio Città dell'Autobiografia. Rivolto a quanti, pur conosciuti ed apprezzati nei campi più diversi, hanno saputo affrontare la prova di una stesura autobiografica significativa, esponendosi in prima persona. Dopo Don Andrea Gallo nel 2010 e fra gli altri Tullio De Mauro, Gigi Proietti e Giuseppe Cederna, quest'anno il riconoscimento verrà assegnato a

Nicola Piovani per la scrittura del testo autobiografico 'La musica è pericolosa' ( Sabato 3 settembre - h. 18). (Cfr: http://giorgiomacario.blogspot.it/2016/07/la-musica-e-pericolosa-nicola-piovani.html  )

Naturalmente merita una citazione anche la sezione Studi e Ricerche dello stesso Premio, che vede partecipare e presenti giovani studiosi (Venerdì 2 settembre - h. 11.30).
E veniamo agli appuntamenti che mi vedono impegnato in prima persona.
Anzitutto una presentazione relativa a 'Autobiografia e psichiatria' (Venerdì 2 settembre - h. 10.30) che mi consentirà di introdurre l'esperienza di scrittura autobiografica narrata nel volume "Dichiarati matti si raccontano - La follia parlata finalmente scritta", curato dalla amica Gabriella Veardo e che ha per protagonisti i partecipanti al Laboratorio di scrittura autobiografica promosso in Liguria dall'Associazione PRATO onlus. Dove naturalmente dirò solo poche parole ma sarà più interessante ascoltare, fra gli altri, la curatrice e gli psichiatri Conforto e Guarnieri.

Ancora sabato 3 settembre alle h. 11  ci sarà modo di affrontare il tema delle 'Scritture bambine': inizialmente con l'autrice Gabriella Fredduselli, che aveva già pubblicato per la Erikson due volumi sulle 'Avventure di Oliver' il gatto, e che dopo aver partecipato ad un Laboratorio autobiografico su 'Orientare al futuro' che ho condotto a Genova, ha dato alle stampe questo terzo volume "L'avventura di Oliver tra i ricordi", che contiene 'Nuovi spunti per una educazione alla letto-scrittura semplificata secondo il linguaggio <Easy-to-read>'; quindi, subito dopo una interessante esperienza del Comune di Prato con bambini della scuola dell'infanzia e della primaria, supervisionata da Graziella Favaro, ci sarà modo di introdurre, con i colleghi Ludovica Danieli e Gianni D'Alfonso con i quali lo abbiamo coordinato, il progetto nazionale "Nati per scrivere", in collaborazione con l'Associazione Italiana Biblioteche. Si tratta di una originale ed interessante sperimentazione avviata in 20 città italiane, con Laboratori autobiografici condotti da formatori volontari della LUA su 'Il paesaggio dentro e fuori di me', indirizzati a 900 bambine e bambini delle ultime classi della scuola primaria.

Infine -last but non least- domenica 4 dicembre alle h. 11.15 ci sarà modo di rinnovare l'abbraccio metaforico a Don Andrea Gallo presentando il volume della Comunità di San Benedetto al Porto "La pedagogia di Don Gallo", parlandone con l'autore Alberto Folli, con l'esponente della Comunità Domenico 'Megu' Chionetti e -forse- con un personaggio grande amico del Don che non ha ancora potuto confermare la sua presenza e, seguendo alla lettera le sue indicazioni, non nominiamo (ma lo faremo se e non appena potremo).

Ma, detto questo, rimangono decine di iniziative e presenze nei campi più diversi interessati e/o lambiti dal metodo autobiografico, ed ancora mostre, spettacoli, approfondimenti (fra questi una lectio magistralis di Jens Brockmeier), spettacoli, aperitivi con le storie e quant'altro, che vi invito ad andare a 'scoprire' nel programma.

Senza dimenticare che 18 anni di impegno costante dell'associazione LUA nel e per il mondo autobiografico sono stati possibili grazie all'impegno di decine di persone, ma nulla di tutto ciò esisterebbe se Duccio Demetrio (esponente di spicco del mondo universitario e 'padre' dell'autobiografia in Italia) e Saverio Tutino (proveniente dall'esperienza diaristica di Pieve Santo Stefano) non avessero messo insieme i loro saperi e le loro esperienze. E' quindi a loro, ed in particolare al nostro attuale Direttore Scientifico, che va il mio ringraziamento.

Ecco quindi il:
Libretto del Festival 2016

E' possibile iscriversi al Festival 2016 (25 gli euro richiesti per tutte le iniziative nelle 4 giornate) compilando la scheda di iscrizione:
clicca qui.

sabato 9 luglio 2016

ARCHIVIARE DON GALLO?


Genova, 6 luglio 2016

L’Archivio di Don Andrea gallo fra le istituzioni e la Strada

                                                                                                   di Giorgio Macario


E’ passato poco più di un mese dall’incontro allargato della città di Genova con l’eredità di Don Gallo, incontro accompagnato fra gli altri da Vito Mancuso, Gad Lerner e Dori Ghezzi.
Oggi è sempre il Sindaco di Genova, Marco Doria, a testimoniare per primo l’importanza e la centralità di questo incontro per molti versi più ‘tecnico’. Già la sede scelta, l’Archivio di Stato di Genova, avrebbe probabilmente fatto sorridere il Don, celebrato, ma soprattutto documentato e studiato, in un luogo così istituzionale. Forse se ci fosse una sede per un ‘Archivio della Strada’ (Un po’ come per l’Università della Strada fondata da Don Ciotti, suo grande amico)…ma questo non esiste ancora.


E d’altra parte, come ha ricordato l’Archivista dell’Università di Genova Carlo Stiaccini che ha seguito la prima opera di sistematizzazione e catalogazione dei materiali, non è proprio Don Gallo in Angelicamente Anarchico a scrivere “Di me, se possibile, preferirei non lasciare alcun ricordo.”?
Quindi, tutto appare quasi una contraddizione in termini. Anche se  sappiamo che Don Gallo era sì intransigente sui principi cardine (la Costituzione, la Resistenza, ma anche l’Accoglienza sempre e comunque) ma altrettanto pragmatico nel concreto vivere (come quando raccontava di non disdegnare di officiare celebrazioni varie nelle ville di personalità importanti pur di racimolare i soldi che gli servivano per i ‘suoi’ ragazzi della Comunità).
Quasi sicuramente, perciò, non avrebbe avuto da obiettare.


Il Sindaco di Genova è il primo a cogliere il dato di attualità che vede nuovamente al centro dell’attenzione mediatica Genova e il G8, osservando che è proprio il 2001, probabilmente, a rappresentare un salto di qualità nel ruolo pubblico rivestito da Don Andrea Gallo. Non che in precedenza, fin dalle note vicende del suo allontanamento dalla Parrocchia del Carmine, non rivestisse un ruolo pubblico, ma sarà il G8, la zona rossa e l’attenzione mediatica nazionale ed internazionale a rappresentare il palcoscenico ideale per trasmettere il suo messaggio: agire, più che dichiarare, e farlo individuando le giuste battaglie da combattere. Per questo, concluderà, sarebbe importante raccogliere anche le testimonianze orali di chi, figura di rilievo o persona comune, ha partecipato con lui ai vari passaggi che hanno contraddistinto la vita della città e della nazione intera. E sempre, a sottolineare questa centralità, al termine dell’incontro sarà Giuliano Giuliani, padre di Carlo Giuliani, a portare la sua breve testimonianza di come Don Gallo dal 2001 e finchè è vissuto, fosse stato sempre presente in modo attivo all’appuntamento del 20 luglio, giunto quest’anno alla 15° edizione.


Sia l’ospite dell’evento, Francesca Imperiale dell’Archivio di Stato, che il principale finanziatore e  partner dell’operazione di catalogazione, Mario Orlando in quanto Presidente della Fondazione Ansaldo, non mancano poi di sottolineare la particolarità di questa collaborazione: per l’Archivio di Stato, sede votata istituzionalmente alla conservazione della memoria, non è affatto usuale questa rete di relazioni incentrata sul ricordo di una personalità di grande rilievo ma anche fonte di non pochi contrasti; mentre il presidente della Fondazione Ansaldo non manca di sottolineare le molte perplessità iniziali legate sia alla non acquisizione alla stessa Fondazione dei materiali da archiviare (operazione di routine prima di investire sul riordino), sia alla vocazione della Fondazione stessa orientata alle imprese ed alla loro storia.


E, d’altro canto, perplessità iniziali opposte saranno evidenziate dal Presidente dell’Associazione Comunità San Benedetto al Porto, Fabio Scaltritti, che esprimendosi a nome del gruppo di coordinamento composto da 12 responsabili di strutture e di aree -non dimentichiamo l’orizzontalità della stessa Comunità fortemente voluta dal Don- ha poi deciso di percorrere con forza questa strada di collaborazione a tutto campo nella convinzione che l’eredità del Gallo debba essere patrimonio comune della città e non solo della Comunità. Non senza rivendicare la vocazione ‘militante’ della Comunità e lanciando alcune delle parole d’ordine di Don Gallo, dalla distinzione fondamentale fra oppressi ed oppressori alla sottolineatura dei tre pilastri del costruire Comunità: il lavoro, i rapporti umani e la cultura.


Due gli interventi per certi aspetti più significativi del pomeriggio.
Da un lato quello dell’archivista che ha evidenziato le difficoltà affrontate per catalogare il materiale tutto ammassato in 8 scatoloni di plastica, 6 della Comunità e 2 della famiglia Gallo. E già su questo versante, nonostante la distanze notevoli dai contesti usuali di lavoro, ha individuato alcune analogie con il lavoro di suddivisione che si realizza fra materiali di archivio di impresa e archivio di famiglia anche in campo industriale. Anche perché quella gestita da Don Gallo è identificabile  almeno in parte con una impresa sociale. E così sono state catalogate le prime due scatole appartenenti alla famiglia, con 939 documenti e 785 fotografie che spaziano dal 1918 al 2013; mentre per i restanti 6 scatoloni della comunità il tentativo è stato quello di seguire l’indicazione che, per certi versi, ‘le carte si riordinano da sé’. In tal modo la presenza di 15 faldoni dedicati ciascuno ad un singolo tema, con ammucchiati dentro articoli, volantini, parti di pubblicazioni, annotazioni varie, ecc. hanno precostituito un criterio di catalogazione, con il quale è possibile ad esempio documentare la passione per il teatro che è già passione giovanile e non certo senile; lo stesso per quanto riguarda le agende e i diari con annotazioni, tipo zibaldone, che rappresentano altrettanti tentativi autobiografici; ed ancora le numerose lettere che recano un gran numero di annotazioni di pugno del Gallo.  Diversi di questi materiali è evidente come servissero per la preparazione dei suoi molti interventi. A questo proposito posso confermare che  alla presentazione a Genova del libro di Duccio Demetrio su ‘L’educazione non è finita’, Don Gallo si presentò con la copia del libro e almeno 5/6 pagine di appunti fitti su varie parti del testo, contrariamente all’impressione che spesso trasmetteva di parlare ‘a braccio’ su una molteplicità di argomenti diversi, quasi ‘improvvisando’. Un’ultima osservazione dell’archivista ha poi riguardato la sottolineatura dell’importanza di verificare non solo quello che c’è, ma anche ciò che non è presente fra i diversi scritti, come ad esempio l’assenza totale di qualsiasi riferimento ai suoi rapporti con i diversi Cardinali genovesi che si sono succeduti nel tempo, Siri fra tutti. Conoscendo la rilevanza di questi rapporti, spesso estremamente critici, la  cosa può stupire o meno, ma sicuramente è un’assenza degna di nota. In sintesi il materiale sistematizzato fino a questo momento conferma quanto Don Gallo stesso aveva affermato, e cioè che la sua è stata una vita fatta di incontri e di relazioni con altri.


Il secondo intervento, che ha di fatto concluso l’incontro, è stato breve ma molto intenso. Moni Ovadia, infatti, ha esordito dicendo di sentirsi un privilegiato per aver avuto la possibilità di frequentare e di avere con Don Gallo una amicizia profonda. Ed ha proseguito sottolineando che se è vero che spesso gli Archivi sono il luogo del potere, dove vengono sistematizzate anche le ‘malefatte’ compiute dal potere, è anche vero che poter accedere in futuro a documentazioni affidabili consente anche a chi non ha conosciuto o frequentato fisicamente le persone di ricostruirsi idee più precise in merito a quanto è accaduto in passato. L’esempio personale riportato ha riguardato la sua esperienza di aver potuto assistere alla riapertura, dopo 50 anni, degli archivi di Stalin, custoditi dai famigerati servizi segreti della Lubjanka, scoprendo fattori di estremo interesse, rivelatori ex-post di quanto spesso non è facile comprendere ex-ante, e potendo in altri casi ‘vibrare’ con grandi personaggi ormai scomparsi. Seguendo l’insegnamento di Primo Levi dall’ultimo suo contributo sull’universo concentrazionario dei ‘I sommersi e i salvati’, Moni Ovadia ha poi ricordato come la memoria umana non sia sempre affidabile, esposta com’è a cesure, dimenticanze e omissioni; e come sia importante valorizzare una personalità così eccentrica come Don Gallo, documentando quanto è possibile ma cercando anche di non ‘archiviarlo’. Richiamando ancora come sia stato per lui – deluso per molti versi dal declino delle stagioni della cultura della fabbrica- motivo di rassicurazione apprendere che una organizzazione così importante come la Fondazione Ansaldo che ha come missione la ricostruzione del mondo operaio ed imprenditoriale, si sia prestata a supportare questa operazione per molti versi ‘eccentrica’ anch’essa.  Concludendo con queste parole: “Le parole ‘dette’ di Don Gallo certo che sono scritte, ma sono soprattutto dette. Si potrà quindi, con questo lavoro, ascoltare ancora una volta questo prodigioso rivoluzionario.”



E sentendo la profonda riconoscenza che chi l’ha conosciuto meglio è capace di esprimere, penso che il Don se li sapeva scegliere gli amici. O forse no, la realtà è un’altra. E cioè che era lui, come pochi altri, ad essere capace di far emergere, da tutti coloro che avevano la ventura di accompagnarlo per un pezzo di strada, il meglio di sé. In effetti non era lui a scegliere, era lui ad accogliere, con una chiara preferenza che sembra ripercorrere l’insegnamento evangelico della parabola dei lavoratori della vigna: “Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.” (Matteo, 20, 1-16)