sabato 23 dicembre 2017

UN FARO, NELLA NOTTE.

ALLA LUCE DEL FARO



 Presentazione di Giorgio Macario


Chi non si augura di poter intravedere una luce nel buio della notte, quando ogni speranza sembra ormai perduta e ci si aggira senza bussola alcuna entro percorsi difficili persino da immaginare?

E quando il bagliore, inizialmente appena percettibile,  si intensifica man mano che ci facciamo guidare nella giusta direzione, non ci sobbalza forse il cuore nello scoprire che non si tratta di una flebile luce ma del potente raggio di un faro che pulsa, seppur lontano all’orizzonte?

Queste le prime riflessioni che mi hanno ispirato le dieci ‘Storie in salita di giovani coraggiosi’, raccolte e curate per la Fondazione ‘Il Faro’ (Equinozi, novembre 2017) dall’amico e collega Roberto Scanarotti, che ho avuto modo di conoscere nell’ambito dell’esperienza ormai ventennale della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.

Dalle comunità per minori alle scuole per educatori, dalle esperienze adottive ai Tribunali per i minorenni, tutta la mia vita professionale ha da sempre incrociato ‘storie in salita’ di ragazzi e giovani costretti spesso, loro malgrado, a confrontarsi con vicissitudini, accadimenti ed esperienze di vita che farebbero tremare i polsi a chiunque. E le storie di Abubacar, Alessio, David, Ermir, Giordana, Heidy, Mamadou, Marco, Pinky e Roberta, che oscillano, con incredibile leggerezza, tra intensi frammenti autobiografici e accurate ricostruzioni biografiche del curatore, non sono certo da meno.

Vi si narra di incontri e di mete, di amori e di volontà, di apprendimenti e di passioni, di fiducia e di resistenza, di rinascite e di rispetto: queste le parole-guida che sono risuonate nel curatore, che sembrerebbe essersi sintonizzato su di un registro emotivo piuttosto che razionale, e che intendono rappresentare non tanto e non solo singole storie di vita e percorsi individuali, quanto “migliaia di narrazioni che dal Faro hanno tratto luce ed energia”.

“Sono storie di gente forte che ha imparato a navigare con le onde alte”, ci dice Gianni del Bufalo, Direttore Generale della Fondazione (per inciso nata su input di Susanna Agnelli per aiutare chi fa fatica ad inserirsi nel mondo del lavoro).

Dalla lettura di queste storie di vita appare evidente che questi ‘semplici’ corsi da barista gastronomo, pizzaiolo, panificatore, aiuto cuoco, parrucchiera, cameriere hanno rappresentato ‘strumenti’ capaci di veicolare altrettante opportunità di riscatto perché accompagnati da adulti, educatori ed istruttori che hanno saputo tenere insieme competenze professionali e vicinanza emotiva. Ma è altrettanto chiara l’indubbia capacità resiliente presente in questi ragazzi e ragazze: è questa la competenza principale che esprimono e che li potrebbe vedere, in un ipotetico corso in tema, nel ruolo di docenti piuttosto che di discenti.


giovedì 14 dicembre 2017

LA VITA SI CERCA DENTRO DI SE' - di Duccio Demetrio

DUCCIO DEMETRIO
LA VITA SI CERCA DENTRO DI SE’ – Lessico autobiografico
(Mimesis, Milano, 2017)


Presentazione a cura di GIORGIO MACARIO

Qualsiasi scritto autobiografico, sia di scrittori di professione che di scrittori per diletto e/o necessità esistenziale, è già apprezzabile per il solo fatto di essere una testimonianza significativa del proprio punto di vista individuale su di sè e sul mondo. Ma in una impresa autobiografica autenticamente percorsa -ci dice Demetrio nell’introduzione al suo scritto- “...è presente un quid indispensabile: un’ulteriorità riflessiva sul senso e sulle motivazioni del proprio aver scritto.”

Ed è la stessa storia autobiografica dell’autore, fra ricerche universitarie, consulenze a gruppi e a singole persone mosse dal desiderio autentico di raccontarsi e fondazione e sviluppo della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, a confermare il suo impegno prioritario verso la scrittura di sè senza aspirazioni letterarie.



Il titolo del volume, ‘La vita si cerca dentro di sè’, preso a prestito da un verso del poeta Mario Luzi, è “eletto a simbolo ed auspicio di questo libro”, mentre altrettanto significativa appare la dedica del volume agli autobiografi del carcere di Milano-Opera.
L’esordio è rivolto a rivalutare le ‘parole opache’, affinchè il lavoro interiore di carattere autoanalitico possa aiutare ad apprezzare, tramite la scrittura, anche un parziale diradamento della nebbia che le avvolge. E’ infatti il viaggio percorso, più che l’arrivo alla vetta, ad essere importante.
Ci sono poi tre interessanti ‘intermezzi’ che cadenzano altrettante parti del libro: l’incontro dell’autore con le lettere dell’alfabeto nell’infanzia; le scritture in cammino che condensano in poche pagine la ritualità sacra e profana del camminare; la ricostruzione di un’esperienza propedeutica di scrittura di sè che riassume il percorso iniziatico dei corsi della Scuola anghiarese.
Delle tre parti principali del volume, la prima -pressochè inedita- è centrata su diverse coordinate concettuali, con una attenzione particolare al ruolo della scrittura autobiografica nella formazione della persona e del cittadino. La seconda riguarda il lessico autobiografico, con le parole scelte per l’arricchimento della cultura autobiografica dei lettori e specificate nell’intento di renderle da ‘opache’ almeno un poco più ‘trasparenti’. La terza parte, infine, contiene otto brevi saggi su temi che completano il percorso precedente con il fine di “ricostruire le basi epistemiche di una cultura autobiografica.”


Demetrio, in conclusione, è riuscito a tematizzare e sistematizzare una pluralità di materiali, consentendo  diversi livelli di lettura. E’ possibile infatti, fra l’altro e con successivi livelli di approfondimento,  familiarizzare con l’ambiente autobiografico seguendo un filo descrittivo-esperienziale; affinare una propria maturazione interiore rintracciando le ‘parole opache’ che meglio risuonano con il proprio percorso esistenziale; approfondire la ricerca personale muovendosi nel testo in modo associativo, con particolare attenzione alle ‘parole che divengono discorsi’.

Senza mai dimenticare -e l’autore ce lo ricorda ancora una volta nell’epilogo, mentre dice addio per sempre alla sua storica ‘lettera 32’- il bisogno di raccontarsi come costante della nostra esistenza. Un’attenzione autobiografica che può anche aiutarci ad essere più sensibili ed aperti verso le biografie altrui. 

venerdì 8 dicembre 2017

MEMORIE GALANTI DEL SETTECENTO (C. Gozzi - L. Da Ponte - G. Casanova)

MEMORIE GALANTI DEL SETTECENTO
DI CARLO GOZZI, LORENZO DA PONTE E GIACOMO CASANOVA


Tra memorialistica autobiografica settecentesca e romantica introspezione dell'io, in un volume stampato in 2.000 copie numerate (copia n. 1429) nel 1945 nelle Officine Grafiche Carlo Ferrari per conto delle Edizioni Ateneo in Venezia.


(dalla prefazione di Bruno Brunelli)


"Carlo Gozzi, Giacomo Casanova, Lorenzo Da Ponte, tre fra i non molti nostri memorialisti, del Settecento, hanno dedicato buona parte delle loro pagine alla narrazione delle esperienze d'amore. (Il lettore pensa subito al Casanova, che in fatto di tali esperienze gode ancora e godrà sempre una fama per cui egli viene considerato il prototipo dell'esperto seduttore). Diversi sono i caratteri dei tre autobiografi: diversissime le reazioni a quel sentimento che in ogni secolo, ma specialmente in quello dei 'lumi', muoveva le azioni degli uomini."


"Carlo Gozzi ha relegato in fine alle 'Memorie inutili pubblicate per umiltà' la narrazione delle sue avventure amorose giovanili. Scriveva a 60 anni, quando l'esperienza era ben matura (...) Se nelle 'Memorie inutili' egli cerca infatti di migliorare il proprio ritratto morale e talora attenua le proprie colpe, qui egli non appare indulgente per se stesso e confessa la sua dabbenaggine, giustificata dall'inesperta giovinezza (...)".


"Le pagine erotiche dei 'Memoires' non sono quelle che hanno elevato a valore di storia la narrazione autobiografica di Giacomo Casanova, controllata dagli studiosi mercè documenti, carteggi, testimonianze di contemporanei. (...) Ma non nè escluso che si possa raggiungere qualche prova anche intorno a quanto parve vanteria di Don Giovanni: per esempio intorno all'episodio della Charpillon, uno dei più interessanti perchè, pur essendo uno dei più appassionati, mancò di quella soluzione che, presto o tardi, era nelle abitudini dell'avventuriero. (...)"


"Lorenzo da Ponte, il librettista di Mozart, fu forse, dei tre memorialisti, il meno sincero e, confessiamolo, il meno simpatico: egli nasconde o tace quanto non gradisce si sappia, a cominciare dalle ragioni del suo abbandono di venezia nel 1779. Il capitolo qui riprodotto dalle 'Memorie' del Da Ponte va collocato fra il 1773 e il '74. (...) nell'autunno '73 egli proveniva dal seminario di Portogruaro, dove aveva conseguito gli ordini maggiori. Non se n'era troppo preoccupato perchè, giunto a Venezia, egli dimentica completamente la sua condizione di ecclesiastico. (...) Una delle avventure più curiose del Da Ponte sarà quella estrema: al suo trasporto funebre a New York nel 1838 uno dei cordoni del suo carro sarà retto da Pietro Maroncelli, il purissimo martire dello Spielberg."


"Ed è appunto questo sapore di inatteso, frequente a ogni svolta della loro vita, che costituisce il fascino delle vite di questi avventurieri del Settecento, in tutti gli episodi da loro vissuti, e prima di tutto in quelli d'amore."

sabato 2 dicembre 2017

DIARIO SENZA DATE - Un'anticipazione dell'opera di Gilbert Cesbron

GILBERT CESBRON 
(1913 - 1979) Scrittore e filosofo francese



Trovo 'Diario senza date', scritto pubblicato nel 1964, 'quasi' per caso. Ho infatti terminato da pochi giorni un seminario ad Anghiari su 'Il lavoro di gruppo in ambito autobiografico' e la sperimentazione da parte dei partecipanti della stesura di un diario, anche se per tempi molto ridotti e per pochi giorni, rappresenta sempre una scoperta (o ri-scoperta) degna di nota. La stessa proposta a chi mi ascolta di diverse citazioni e riferimenti sulle funzioni multiple che la tenuta di un diario può svolgere, non prende a riferimento sempre le stesse fonti ma si arricchisce, anno dopo anno, di nuovi riferimenti. E' per questo che 'Diario senza date' ha catturato subito la mia attenzione. Scopro solo dopo averlo acquistato che si tratta della prima pubblicazione di una sorta di quadrilogia che vede l'uscita di 'Finchè fa giorno' nel 1967, 'Uno specchio in briciole' nel 1973 e 'Felicità da niente' nel 1979. Che i temi trattati nelle sue opere spazino fra 'fede cristiana, speranza, 
comprensione, infanzia, miseria, sofferenza e senso di giustizia' -come leggo su alcune note biografiche- mi interessa fino ad un certo punto. Preferisco avventurarmi fra la quarta di copertina e la premessa, condividendo con voi queste prime considerazioni dell'autore.


"Da vent'anni scrivo camminando; cioè andando e ritornando a piedi dall'ufficio dove esercito il mio secondo mestiere; dieci ore di cammino alla settimana con l'inseparabile blocchetto per gli appunti."
"Per l'arco di un ventennio, dunque ho raccolto pensieri, immagini, spicchi di racconto, 'spunti', brani di poesia, ecc., che mi sorgevano improvvisi davanti , o ritornavano da così lontano che non li riconoscevo più. Non era tuttavia, questo, uno spigolare nel campo delle mie messi annuali: neanche una di queste righe è uno scarto di un altro libro."
"Sono tenuto poi a dare una spiegazione, sul titolo e la forma di questo libro. Non credo che 'senza date' sia in contraddizione con la parola 'diario'."
"Il lavoro, infatti, è stato veramente scritto un giorno dopo l'altro, non importa quale. Non si tratta affatto del giornale di bordo di una vita o di un'impresa: si tratta solo di personali annotazioni quotidiane, riflessioni di un'anima. Non vi si troverà nulla di ciò che conferisce interesse ai 'diari' celebri. Non mi attribuisco tanta importanza: gli incontri di cui do relazione, se hanno un valore essenziale, lo hanno per me. Incontri privati e per nulla straordinari."
"'Diario senza date'; tuttavia, se occorresse datarlo globalmente direi: aprile o ottobre, stagione suggestiva, a cavallo del vento, quando senza alcun preavviso, il sereno e la burrasca si alternano. Tale è lo spirito, il mio comunque, e tale è questa raccolta. Un lavoro di mezza stagione..."
"Questo genere di scritti è un po' come le 'consumazioni' che si ordinano al bar tra amici: una tira l'altra, se ne perde il conto. L'autore, che ha impiegato anni a riempire il suo granaio, vi chiede di non servirvene in fretta, di procedere a piccoli tratti. Egli sarebbe davvero lusingato se riuscisse ad essere un buon compagno di viaggio che sa piacevolmente intrattenere, ma anche, quando occorra, tacere.
L'autore sa che se vi prendeste un'indigestione per la fretta di ingoiare questi piccoli frutti, fareste un torto all'albero che li ha pazientemente prodotti...
Ora, girata la clessidra, possiamo incominciare!"


Leggo che il 2019 dovrebbe essere l'anno del 'turismo lento' e del camminare lento, vorrà dire che cercherò di seguire le indicazioni dell'autore  e invece di 'ingoiare' in fretta le 250 pagine del volume, cercherò di gustarlo procedendo 'a piccoli tratti'; magari camminando e ...prendendo appunti a mia volta. Vi saprò dire. (G.M.)


sabato 18 novembre 2017

IL LIFELONG LEARNING (APPRENDIMENTO LUNGO TUTTO IL CORSO DELLA VITA) IN EUROPA

UN CONFRONTO EUROPEO 
TRA POLITICHE GIOVANILI, FORMAZIONE, LAVORO E ORIENTAMENTO


Mercoledì 15 novembre  a Genova, nell'ambito del Salone Orientamenti 2017, ho partecipato ad una Tavola Rotonda organizzata dall'Università di Genova-Dipartimento di Scienze della Formazione-DISFOR, unico partner italiano del progetto YOUNG_ADULLLT (Programma HORIZON 2020), che ha presentato i primi risultati del progetto (2016/2019) che coinvolge 15 università e centri di ricerca in 9 Paesi (Germania, Spagna, Portogallo, Bulgaria, Austria, Croazia, Finlandia e Italia).
Sono grato al collega Mauro Palumbo, professore ordinario di sociologia presso l'Università di Genova, che ha condotto tutto l'incontro, di avermi invitato. 


I primi risultati presentati hanno riguardato l'analisi comparativa delle politiche di LifeLong Learning in Europa, che qui citerò brevemente. Alle note tratte dall' EUROPEAN POLICY BRIEF, seguiranno alcune mie sintetiche (e anche queste brevi) osservazioni conclusive relativamente agli echi che ho rilevato nell'esposizione in connessione con il metodo narrativo, le attenzioni autobiografiche e la sussidiarietà verticale e orizzontale.


"Introduzione.
Il progetto YOUNG ADULLLT mira ad una analisi approfondita delle politiche di LifeLong Learning (LLL) accessibili ai giovani adulti in Europa, con particolare riferimento ai potenziali destinatari che vivono una condizione di esclusione sociale. (...) Sono diverse le ragioni per le quali appare necessario migliorare la coerenza e l'adeguatezza di queste politiche:
§ contrastare la loro frammentazione in ambito europeo;
§ invertire la tendenza all'inefficacia delle politiche di educazione degli adulti; 
§ comprendere queste politiche in relazione ai loro contesti regionali e locali;
§ valutare gli impetti di soluzioni sostenibili e considerare la loro trasferibilità potenziale;
§ restituire e rappresentare l'eterogeneità culturale tra diversi paesi europei (...)
§ (...) esplorare ulteriormente la dimensione della loro (delle politiche di LLL) interazione tra i livelli europeo, nazionale e regionale/locale (...).


Risultati e analisi.
(Da tenere presente che questi sono i primi risultati di un anno di lavoro sui tre previsti, e quindi sono basati essenzialmente su di una comparazione della documentazione interente i 9 paesi europei, mentre i primi esiti delle fasi di approfondimento della ricerca -ivi compresi i case studies- sono stati accennati e saranno meglio documentati in seguito). 
I risultati riassunti in questo Policy Brief derivano dalle analisi riportate nell'International Report on LLL Policies and Inclusion in Education and Work (Kotthoff et al., 2017).
(...)
* Le diverse definzioni del concetto di LifeLong Learning, così come l'eterogeneità delle politiche di LLL rendono complessa la loro stessa identificazione, così come la loro capacità di dare risposta ai bisogni dei destinatari. (...)
* Le politiche di LLL sono infatti ancora largamente formulate in base alla concezione di percorsi di vita standardizzati. (...)
* Le politiche di LLL europee tendono a trascurare il fatto che le costruzioni del target e le dinamiche di esclusione sociale differiscono a seconda dei contesti nazionali. (...)
* Il Fondo Sociale Europeo (FSE) rappresenta la fonte principale di finanziamento delle politiche di LLL. (...)
* L'effetto leva delle politiche di LLL nelle diverse regioni è strettamente correlato alle differenze in termini di centralizzazione/decentralizzazione e di autonomia. (...)
* Il successo delle politiche di LLL dipende dalle possibilità di stabilire e mantenere partnership efficaci e responsabilità condivise. (...)
* La ricerca, oltre a prefiggersi di identificare gli effetti attesi delle politiche di LLL in Europa, ha evidenziato anche l'insorgenza di effetti inattesi, che non necessariamente avvantaggiano i giovani adulti. (...)



Implicazioni per le politiche e raccomandazioni. (...)
° La concezione di LifeLong Learning non dovrebbe distanziarsi dal suo intento originale di promozione dello sviluppo individuale (...)
° Le politiche di LLL non dovrebbero essere un mero riflesso delle letture 'standardizzate' del corso di vita. (...)
° La costruzione dei gruppi target delle politiche di LLL in Europa deve tener conto delle differenze culturali, sociali e politiche dei diversi paesi. (...)
° L'FSE deve cooperare più direttamente con le Regioni, rendendole parte di un progetto comune di LLL policy.
° I diversi obiettivi delle politiche vanno soppesati attentamente quando si formulano i risultati attesi, in modo da escludere potenziali effetti inattesi."
(June 2017, HansGeorg Kotthoff and Juan Felipe Gàfaro, European Policy Brief)


Queste le mie osservazioni a seguito della partecipazione alla sessione di lavoro.

Ho trovato molto interessante l’approccio narrativo proposto, che probabilmente si concretizzerà maggiormente con gli esiti dei case studies, perchè il rischio di depersonalizzazione e di standardizzazione di questi approfondimenti a livello europeo, nella mia esperienza, è sempre molto presente.
L’attenzione orientata in questa direzione mi ha ricordato in particolare l’ultimo contributo di Giampiero Quaglino su ‘La scuola della vita. Manifesto della terza formazione’ dove uno dei padri della formazione in Italia (ricordo ancora gli studi negli anni ’80 sui suoi testi base ‘Il processo di formazione’ e ‘Fare formazione’, fra gli altri) ha riconosciuto come troppo orientati alle organizzazioni e non alle persone i suoi apporti metodologici, promuovendo una svolta conseguente verso la centralità degli apporti dei singoli. Quanto questo si avvicini all’approccio autobiografico sul quale lavoro ormai da molti anni con Duccio Demetrio, credo sia evidente.
Ancora mi è sembrato che la grande attenzione alla valorizzazione del livello locale nelle politiche di LongLife Learning sia un buon esempio di una sussidiarietà verticale (che implica la scelta dell'attore istituzionale più vicino agli utenti diretti e in grado di rispondere ai bisogni da loro espressi) da praticare e non solo da enunciare, mentre l’attenzione ai singoli destinatari, esemplificata in particolare con l’individuazione delle intersezioni dei percorsi biografici rispetto ai diversi livelli individuati -vedi anche i case studies-, indichi una possibile declinazione della sussidiarietà orizzontale (analoga scelta, nelle domande espresse dai destinatari ultimi, fra i soggetti del privato-sociale e delle istituzioni anche decentrate, di quelli più prossimi e, anche in questo caso, in grado di rispondere ai bisogni da loro espressi) che, forse, meriterebbe di comparire fra le indicazioni fornite ai ‘decisori politici’.





giovedì 9 novembre 2017

LA VALORIZZAZIONE DELLE RETI NELLE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Il tema delle reti -con riferimento alle possibili interconnessioni in ambito sociale- può sembrare ad un tempo un po' superato (se ne parla almeno dagli anni '80 del secolo scorso) ed anche parzialmente abusato perchè il termine 'rete' è stato considerato 'di moda' per un po' di tempo. Credo invece rappresenti uno strumento concettuale utile quando siano specificati i contesti e le modalità di utilizzo.
Nel caso della presente riflessione, che prende spunto da una delle ultime sessioni formative nazionali per gli operatori delle adozioni internazionali, da me coordinate nel 2016, l'esplorazione condotta con riferimento ai contesti istituzionali (nazionali e regionali), professionali (facendo attenzione alle dimensioni interprofessionali) e naturali (specialmente riguardo alle famiglie adottive ed agli stessi ragazzi adottati) credo possa aiutare a sviluppare connessioni anzichè alimentare divisioni.
Buona lettura, quindi, per chi avrà interesse al tema e sufficiente pazienza per giungere alle conclusioni.


Adozioni internazionali e valorizzazione delle reti
istituzionali, professionali e naturali
                                                                                
                                                              di Giorgio Macario[1]

Non potremmo contribuire a rivisitare momenti e parti dei percorsi formativi,
 istituzionalmente previsti o organizzati ad hoc,
per sostenere aperture a nuove prospettive e per re-immaginare
diversi investimenti e diverse attenzioni ai problemi del nostro contesto sociale
e alle nuove generazioni che si mostrano interessate ad affrontarli?[2]

Franca Olivetti Manoukian


1.     Il respiro europeo delle attività formative per le adozioni internazionali
Le azioni formative nazionali della Commissione per le adozioni internazionali (d’ora in avanti denominata CAI) rivolte alla migliore applicazione della legge per le adozioni internazionali, la Legge 31 dicembre 1998, n. 476, partite già all’indomani della attivazione della stessa Commissione nel novembre 2000, hanno rappresentato una delle esperienze più longeve di preparazione interprofessionale ed interdisciplinare di diverse centinaia di operatori sparsi sul territorio nazionale e provenienti da Regioni e servizi territoriali, Enti autorizzati e Giustizia minorile.
Queste attività formative, frutto di approfondimenti che hanno coinvolto i principali studiosi delle specifiche tematiche trattate e che hanno tenuto presente una selezione delle esperienze più significative già attive sul campo, hanno contribuito non di rado a prefigurare diverse azioni di sviluppo e miglioramento in tempi successivi alle attività formative realizzate.
Ciò è stato reso possibile in primo luogo dall’esteso coinvolgimento dei responsabili dei servizi e delle istituzioni coinvolte a tutti i livelli, che non di rado sono stati non solo partecipanti ma anche attori protagonisti dell’intervento formativo, e per l’estesa fiducia che si è consolidata negli anni in merito alla qualità complessiva della formazione progettata e realizzata.
Gli stessi appuntamenti europei ed internazionali che si sono succeduti negli ultimi anni[3], hanno allargato lo sguardo visuale della formazione nazionale realizzata dalla CAI e hanno consentito nuove connessioni ed interscambi.
Proprio per questo, le attività formative proposte dalla CAI sono ormai da alcuni anni collocate in un quadro europeo, il nuovo quadro strategico dell’Unione Europea 2010-2020, arricchito dalla più recente programmazione comunitaria 2014-2020 che, in particolare per l’istruzione e la formazione, prevede tre priorità: una crescita intelligente (conoscenza e innovazione al centro); una crescita sostenibile (più efficienza e competitività per quanto riguarda le risorse); una crescita inclusiva (maggiore coesione sociale e territoriale promuovendo l’occupazione).
Esplicitando poi il quadro delle priorità, gli obiettivi strategici nello stesso settore formativo e dell’istruzione risultano essere quattro:
A)   Applicare la formazione lungo tutto il corso della vita.
B)   Migliorare la qualità e l’efficacia della formazione.
C)   Promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva.
D)   Incoraggiare la creatività e l’innovazione a tutti i livelli della formazione.[4]
Il target di riferimento delle attività formative della CAI è un target doppiamente rilevante per il perseguimento di questi obiettivi perché gli operatori coinvolti si formano per sé, ma sono molto spesso operatori con grande esperienza, influenti nelle loro organizzazioni, e che sovente si adoperano per diffondere e sensibilizzare altri operatori. Questa finalità di diffusione, d’altra parte, occupa ormai un posto rilevante negli intendimenti della CAI, proprio per consentire il migliore utilizzo possibile delle risorse e innescare un virtuoso effetto moltiplicatore.
Ma riprendendo i quattro obiettivi strategici menzionati, questi rappresentano un mix che è possibile rintracciare nella formazione nazionale per le adozioni internazionali.
Dalla realizzazione di un Lifelong Learning non esaustivo, certo, ma molto più coinvolgente degli aggiornamenti professionali estemporanei, e peraltro sempre più rari, cui devono adattarsi i più (Ob. A) al perseguire un miglioramento continuo quanto all’efficacia formativa esplorando nuove metodologie e consolidando ed estendendo i risultati raggiunti su tutto il territorio nazionale (Ob. B); dal contribuire alla costruzione di una comunità di pratiche e di pensiero nelle adozioni internazionali[5], che favorisce maggior conoscenza e coesione, concedendo adeguatamente ascolto a quella parte di cittadinanza, sempre più estesa, coinvolta nell’adozione di bambini provenienti dall’estero (Ob. C) all’aprire per quanto possibile a contributi innovativi mediante analisi interdisciplinari, apporti autobiografici, gruppi autogestiti[6], contaminazioni progettuali, ed un avanzato contesto formativo di ‘formazione situata’ attenta alle indicazioni esplicite ma anche implicite che ispirano l’azione lavorativa dei soggetti coinvolti (Ob. D).

2.     La valorizzazione delle reti dal pre al post-adozione: progettare innovando
La L. 476/1998 sulle adozioni internazionali ha previsto fin da subito il coinvolgimento di una pluralità di soggetti ed organizzazioni impegnate nella miglior riuscita dell’inserimento del bambino adottato nel nuovo contesto familiare.
La CAI, dal suo avvio operativo, ha inteso creare un ‘sistema adozioni internazionali’ capace, per quanto possibile, di auto-implementarsi. La Commissione ha infatti cercato di perseguire la migliore delineazione, da parte dei principali soggetti professionali coinvolti -operatori dei servizi territoriali che andranno a costruire le equipe adozioni in gran parte del territorio nazionale, con il coordinamento delle Regioni; rappresentanti ed operatori degli Enti autorizzati; presidenti e giudici dei Tribunali per i minorenni-, delle proprie specifiche funzioni favorendo la creazione di contesti inter-organizzativi attenti al reciproco riconoscimento di competenze, ruoli e funzioni.
La stessa formazione nazionale per le adozioni internazionali ha costituito da sempre uno dei principali strumenti finalizzati all’incontro ed al raccordo fra coloro che operano sul territorio nazionale a favore della migliore riuscita dei percorsi adottivi. Gli interventi formativi non hanno quindi inteso sostituirsi ai raccordi operativi e gestionali che venivano al contempo perseguiti dalla CAI con altri dispositivi, ma sono stati finalizzati alla creazione di spazi di riflessione ed approfondimento sempre più orientati a migliorare la qualità dell’intervento e la sua adeguata documentazione.[7]
Se quindi non si può certo affermare che l’attenzione al raccordo inter-istituzionali e inter-organizzativo, ma anche la sensibilità rivolta alla promozione di connessioni interprofessionali e la cura di apporti interdisciplinari, siano una novità nell’operato della CAI, ciononostante l’aver progettato e realizzato un seminario di tre giornate sulla ‘Valorizzazione delle reti dal pre al post-adozione’[8] ha rappresentato un salto di qualità ben accolto dai professionisti che hanno aderito all’iniziativa.
In tutti questi anni è infatti la prima volta che il tema delle reti viene posto esplicitamente al centro dell’attenzione. E questa centralità è connessa ad una fase che mostra una crescente complessità: la lunga crisi economica in atto dal 2008 ha comportato un calo del numero di adozioni -anche se in Italia il calo è stato molto più contenuto rispetto ad altri Paesi[9]-  ed un restringimento consistente di risorse umane e materiali destinate a questo settore, così come a molti altri.
D’altra parte, il concetto di rete -e di rete sociale[10] in particolare-, come diversi altri fra cui quello di empowerment e della resilienza, ha corso negli ultimi anni il forte rischio di essere svuotato di significato, di valore operativo e di efficacia a causa di un suo costante sovra-utilizzo. L’attuale contingenza internazionale, cui il mondo delle adozioni internazionali presta particolare attenzione perché ne fa parte in modo strutturale, sembra aver però spinto a riutilizzare le reti formali ed informali come fattore imprescindibile di sostegno, laddove la famiglia ed i singoli, oberati di sovra-investimenti spesso strumentali, entrano in crisi.
E’ del tutto evidente che gran parte degli apporti formativi concretizzati hanno di fatto contribuito a migliorare il sistema di relazione fra i principali nodi della rete delle adozioni internazionali. E, d’altra parte, i Servizi territoriali delle Regioni, gli Enti autorizzati ed i Tribunali per i minorenni hanno costruito ed affinato il proprio know-how in tema adottivo non in modo totalmente autoreferenziale, ma potendo usufruire nel contesto formativo di apporti conoscitivi, esposizione di buone prassi e attivazione di confronti e collaborazioni a livello infra-regionale, interregionale, nazionale ed in alcuni casi, internazionale.
Diversi esponenti di questi servizi hanno poi approfondito le loro competenze seguendo per più anni le attività seminariali nazionali e maturando specializzazioni tali da poter essere coinvolti nella formazione non solamente come semplici partecipanti, bensì come testimoni privilegiati che esponevano buone prassi, partecipavano a tavole rotonde ed in alcuni casi portavano un contributo come relatori su temi che li vedevano particolarmente competenti. E’ quindi la stessa rete professionale ad essersi mobilitata in prima persona, rivolgendo il proprio sguardo anche oltre il contesto prettamente professionale.
Quest’ultima attività seminariale proposta ha quindi inteso favorire riflessioni e nuovi pensieri che potessero aiutare le necessarie riorganizzazioni, in molto casi già in atto, senza sacrificare i livelli di eccellenza raggiunti. Occorre infatti trovare il modo di promuovere circoli virtuosi che mantengano la capacità di pensare e di gestire al meglio le diverse problematiche da parte degli operatori, evitando che si inneschino circoli viziosi caratterizzati da demotivazione e scarsa riflessività.
Il percorso di specializzazione e approfondimento realizzato si è quindi concentrato sull’individuazione della migliore finalizzazione degli apporti istituzionali e professionali per la concreta valorizzazione delle reti naturali e di reciprocità che si possono creare intorno alle famiglie adottive. Alla ricerca di un mix adeguato fra aspetti formali e dimensioni informali.
E proprio per valorizzare le specifiche caratteristiche dei diversi apporti conoscitivi ed esperienziali, sono stati attuati vari accorgimenti metodologici, quali:
-le più tradizionali, ma pur sempre indispensabili, ‘relazioni di approfondimento’ dei temi;
-le già sperimentate ‘riflessioni nel corso dell’azione’, fondamentali per enfatizzare l’approccio teorico-pratico della formazione ed estese alle iniziative più significative anche se non ancora compiutamente concluse;
-le innovative ‘riflessioni dai territori di confine’, che hanno visto l’apporto di esperti protagonisti di percorsi di reti diversificate, ma contigue al mondo adottivo;
-i lavori di gruppo condotti da tutor;
-gli approfondimenti fra esperti, senza la conduzione di tutor[11].
Infine, nel percorso formativo sono state considerate, in una sorta di schema a matrice, le dimensioni istituzionali ed organizzative, dedicando la prima giornata a ‘Istituzioni e Organizzazioni’; gli aspetti professionali ed interdisciplinari, con la seconda giornata su ‘Professionisti e aspetti interdisciplinari’; gli apporti formali ed informali, al centro della terza giornata. Particolarmente degni di nota sono stati due aspetti diversificati: da un lato gli ‘apporti dai territori di confine’ mediante i quali si è cercato di fornire nuovi sguardi visuali, alla ricerca di nuovi pensieri per affrontare le necessarie riorganizzazioni dell’attuale contesto; d’altra parte si è puntato molto sul favorire il riconoscimento e la valorizzazione delle risorse già in possesso delle figure genitoriali adottive ed i fattori resilienti di molti ragazzi adottati affinchè le reti naturali e di reciprocità potessero essere prese in considerazione unitamente a quelle professionali ed istituzionali, sia nel pre che nel post-adozione.

3. ‘Professionisti riflessivi’ e ‘famiglie competenti’

Per poter valorizzare l’apporto che le reti di diversa natura e consistenza possono fornire al miglioramento della vita sociale ed al consolidamento di percorsi di integrazione sociale, occorre che gli interlocutori principali siano sensibilizzati e formati su questi temi. Ciò vale, quindi, anche per i professionisti impegnati nello specifico settore delle adozioni internazionali che si occupano delle famiglie adottive ed in specifico dei bambini adottati. In genere, infatti, la crescita professionale in nuovi aree parte da una fase pionieristica, che si potrebbe definire caratterizzata da contesti ‘in statu nascendi’, che danno vita a nuove professionalità o, più spesso, orientano professionalità già esistenti verso specializzazioni ad hoc: pensiamo ad alcune figure professionali impegnate negli Enti Autorizzati o anche nei Servizi territoriali; si consolida entro una fase tecnicizzata, durante la quale vengono esplicitati i principali modelli di riferimento e affinati gli strumenti maggiormente adeguati al perseguimento degli obiettivi di lavoro, ricercando sinergie ed economie di scala capaci di tenere insieme quantità e qualità dell’intervento; in ultimo, è possibile -ma non scontato- un passaggio ad una fase riflessiva, di professionismo riflessivo[12]. Gli approfondimenti sul pensiero riflessivo favoriscono diversi e interessanti sviluppi. Dal superamento della razionalità tecnica mediante la razionalità riflessiva alla sottolineatura dell’importanza dell’abilità artistica (artistry) come valorizzazione delle competenze che consentono ai professionisti di interagire in maniera proficua con le zone indeterminate della pratica; dalla ‘riflessione nel corso dell’azione’ come dispositivo capace di attribuire significati all’azione professionale in una comunità che opera su pratiche condivise allo sviluppo di processi oltre che di condivisone, di negoziazione, revisione e sistematizzazione che conferiscono valore di conoscenza professionale  a ciò che in precedenza era mera pratica[13]. Uno di questi, particolarmente centrato sugli apporti formativi e approfondito dall’autore in circa 20 anni di progettazione e realizzazione di percorsi formativi nazionali[14] sia come responsabile della Formazione nazionale per l’infanzia e l’adolescenza dal 1998 al 2003[15], sia in quanto responsabile della formazione nazionale per le adozioni internazionali dal 2001 al 2016[16], rappresenta di fatto il retroterra del presente contributo.
La costante ricerca di innovazioni sul versante degli apporti professionali per la migliore qualità dell’intervento ha portato a diversificare i possibili approfondimenti tenendo sempre più presenti le dimensioni interdisciplinari, interprofessionali ed inter-organizzative. Ma ugualmente si è cercato di tenere maggiormente presenti, in particolare sul versante educativo, i confini fra intervento ‘professionale’ e intervento ‘naturale’. Tre concetti essenziali dell’intervento educativo, tradotti in altrettanti gesti universali, sono l’accoglienza (l’abbraccio), la cura (l’essere cullati) e la promozione dell’autonomia (l’allontanare da sé)[17], e proprio il riconoscere che questi gesti traducono tutto ciò che di buono può essere richiesto ad una famiglia sufficientemente buona, ma sono altresì alla base dell’intervento educativo professionale, consente di ritrovare alcune radici di senso comuni fra i due ambiti.
La competenza delle famiglie -utilizzata in questo caso come esemplificativa delle possibili competenze dei molti soggetti non professionali- diventa così non solo una mera concessione dei professionisti ma una ricerca costante ed anche una promozione di tutti quei saperi relazionali detenuti dai non-professionisti che hanno un ruolo determinante nella crescita, nel mantenimento e nel recupero di un benessere psico-fisico del bambino.
Parlando in particolare di adozioni internazionali dobbiamo essere consapevoli che per certi aspetti i soggetti coinvolti, sia professionali che non professionali, tendono a moltiplicarsi, e lo stesso accade per le attenzioni da prestare alle specificità della condizione del minore, che rischia di essere straniero sia nella Patria di origine che in quella di accoglienza. E’ per questo che tutta la tematica delle reti -istituzionali, professionali e naturali- assume in questo caso una ancor maggiore centralità.
E la specificità di questo settore lo rende anche fra i più significativi per lo studio e l’approfondimento della resilienza[18]. In particolare uno dei due modelli di riferimento più diffusi in ambito internazionale, di area francofona, individua proprio alle fondamenta della sua costruzione della resilienza la rete delle relazioni informali: famiglia, amici, vicini,…[19].

4.     Per la valorizzazione delle reti istituzionali, professionali e naturali

Le riflessioni conclusive dell’attività seminariale sulla valorizzazione delle reti nelle adozioni internazionali hanno fatto riferimento a tre scommesse che al termine dei lavori sono sembrate sostanzialmente vinte.[20]
La prima riguarda l’articolazione delle tre aree prevalenti nell’analisi delle reti. La scelta di dedicare le tre giornate seminariali alle tre aree tematiche specifiche -Le istituzioni e le organizzazioni, I professionisti e gli aspetti interdisciplinari, gli apporti formali e informali-, che aveva fatto nascere qualche perplessità in fase progettuale perché poteva mettere in secondo piano i possibili intrecci, ha viceversa enfatizzato l’analisi delle diverse specificità consentendo l’avvicinamento a cerchi concentrici al cuore del sistema adottivo costituito dai protagonisti dell’adozione. Tale impostazione ha favorito la valorizzazione delle reti di reciprocità che riconoscono a tutti gli attori in gioco, istituzioni e professionisti compresi, il possesso di risorse ma anche la presenza di punti deboli, che vanno messi in rete affinchè anche i professionisti possano farsi ‘aiutare’ dalle persone a meglio aiutarle.[21] In questo contesto gli aspetti interdisciplinari connessi ai diversi professionisti sono stati volutamente introdotti da una figura professionale centrale ma non frequente nel ‘sistema adozioni’, dove prevalgono generalmente le figure psico-socio-giuridiche, quale il pediatra[22] ; mentre gli apporti istituzionali e organizzativi, connessi alla complessità delle tre giornate seminariali, sono stati sintetizzati da un punto di vista sociologico  con un ‘respiro’ da relazione introduttiva.[23]
La seconda scommessa vinta ha a che fare con la rivitalizzazione dell’area trasversale delle ‘riflessioni nel corso dell’azione’, nella quale sono state messe in pratica le raccomandazioni cui si è fatto già cenno in merito all’importanza del pensiero riflessivo per la costruzione di quella che ormai da alcuni anni si va definendo come ‘comunità -temporanea- di pratiche e di pensiero delle adozioni internazionali’. La comparazione resa possibile dalla presentazione di ben quattro esperienze di rete in altrettante Regioni fra le più significative nell’attuale panorama nazionale[24], la sintesi di alcune buone prassi da parte di Enti autorizzati su di un’area specifica e di grande attualità come l’accesso alle informazioni e la ricerca delle origini[25] ed ancora la sperimentazione di reti di famiglie e progetti innovativi a livello territoriale e la promozione e valorizzazione delle reti tramite la documentazione supportata a livello centrale[26], hanno riempito di contenuti niente affatto scontati questa area attivata già da alcuni anni.
Infine, la terza scommessa è forse la più significativa perché riguarda un’intuizione progettuale mai sperimentata in precedenza, e cioè l’introduzione di ‘riflessioni dai territori di confine’. E’ noto infatti come in sessioni formative di alta specializzazione abituate da anni al coinvolgimento dei relatori e delle esperienze di eccellenza nel settore adozioni internazionali il rischio di ripetersi sia sempre in agguato. Aver avuto la possibilità di coinvolgere tre fra le più significative esperienze in territori che possono anche intrecciare la presenza di protagonisti dell’adozione, ma non sono certamente ascrivibili al settore adozioni, ha inteso rispondere alla necessità di rendere più fecondo il pensiero dei diversi protagonisti interessando territori ‘laterali’, impegnati in mission diversificate ma convergenti verso uno sforzo partecipativo che introduce ossigeno in contesti sottoposti al rigore della crisi.
La centratura sulla consulenza ed il supporto fornito alle reti istituzionali nel caso della L. 285/1997[27] ha inteso approfondire in particolare la metodologia di lavoro comune fondata sul metodo del ‘coordinamento aperto’ creato nel quadro della politica dell’occupazione e del processo di Lussemburgo per il raggiungimento di obiettivi comuni di miglioramento, innovazione e convergenza nei risultati. Il protagonismo degli operatori educativi e sociali nella costruzione delle reti di prossimità[28] ha consentito di gettare uno sguardo su di una solida esperienza di raccordo e incontro fra centinaia di operatori in diverse aree territoriali, sottolineando la necessità di operatori ‘deponenti’, in ricerca e tesi ad apprendere dalle situazioni, capaci di ‘stare sulla soglia’ pur partecipando, quando necessario, alle reti primarie e di prossimità. E in ultimo, il ‘protagonismo dei protagonisti’ nella valorizzazione delle reti[29], ha permesso di avvicinare la recente creazione di reti che hanno per principali protagonisti gli stessi ragazzi già ospiti delle comunità per minori, approfondendo il tema del mutuo-aiuto e la rete fra gli ex-ospiti, la partecipazione sociale e la cittadinanza attiva, il lavoro di rete con gli stakeholders.
Tre scommesse che ricompongono un quadro molto ricco e variegato. Una sessione formativa che ha inteso -per riprendere la citazione iniziale- “ricomporre in modo innovativo il produrre servizi con il tutelare diritti”[30] e, in presenza di una sovrabbondanza di risposte preconfezionate e manualistiche, cercare di individuare le domande giuste. Fino alla prossima occasione, per implementare un percorso che ha superato i 15 anni e che si auspica possa raggiungere la maggiore età.

(In 'Minori Giustizia', n. 4/2016)


[1] Formatore e psicosociologo, consulente dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, già docente di Educazione degli adulti all’Università di Genova e Giudice Onorario presso il Tribunale per i minorenni di Genova.   macario.g@gmail.com
L’articolo fa riferimento al primo seminario di specializzazione sul tema della “Valorizzazione delle reti dal pre al post-adozione” progettato e condotto dall’autore nel gennaio 2016 in qualità di responsabile scientifico e formativo della formazione per le adozioni internazionali. Il seminario formativo è stato realizzato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze per la Commissione per le Adozioni Internazionali.
[2] F. Olivetti Manoukian, Oltre la crisi,  Guerini e Associati, Milano, 2015, p. 186.
[3] Nel 2008 l’iniziativa dal titolo “I servizi per il post-adozione in Italia e in Europa” ha visto la partecipazione di circa 250 operatori e delegazioni da Brasile, Etiopia, Federazione Russa e Ucraina. Nel 2010 la successiva iniziativa dal titolo “Resilienza ed approccio autobiografico nelle adozioni internazionali” ha avuto 250 partecipanti e anche in questo caso delegazioni da Bolivia, Colombia e Federazione Russa, oltre a Francia e Spagna. Nel 2011, infine, l’iniziativa dal titolo “Diventare genitori adottivi sufficientemente buoni”, ha coinvolto 220 partecipanti e delegazioni da Burkina Faso, Colombia, Federazione Russa, Vietnam e invitati dalla Repubblica di San Marino, dall’International Social Service e dal Permanent Bureau-HccH.
[4] Cfr. TREELLE, Il lifelong learning e l’educazione degli adulti in Italia e in Europa. Dati, confronti e proposte, Quaderno n. 9, Genova, dicembre 2010. Per una analisi di fonte istituzionale, cfr. il documento del Ministro per la Coesione Territoriale rintracciabile all’indirizzo: http://www.agenziacoesione.gov.it/it/politiche_e_attivita/programmazione_2014-2020/index.html
[5] Cfr. E. Wenger, Comunità di pratica e sistemi sociali di apprendimento, in Studi Organizzativi, n. 1/2000, pp. 11-34, e
E. Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato, identità, Cortina, Milano 2006.
[6] Secondo la tecnica importata dagli Stati Uniti e denominata ‘Birds of Feather’. Cfr. ‘Percorsi formativi nazionali per le adozioni internazionali – Anno 2015’, Commissione per le Adozioni Internazionali – Istituto degli Innocenti di Firenze, documento di progetto (Materiali per i Seminari del dicembre 2015 e del gennaio 2016).
[7] Cfr. nota 16. Tutti i testi citati nella nota sono scaricabili gratuitamente all’indirizzo: http://www.commissioneadozioni.it/it/bibliografia/studi-e-ricerche.aspx
[8] Firenze, Residence Ricasoli, 26/28 gennaio 2016.
[9] L’Italia è attualmente il 2° Paese al Mondo per numero di adozioni e la diminuzione pur consistente delle autorizzazioni all’ingresso concesse dalla CAI (dalla punta massima di 4.130 del 2010 siamo passati ai 2.216 del 2015, con una discesa del 47% circa) appare molto ridimensionata rispetto ai crolli dei principali Paesi di accoglienza come gli Stati Uniti d’America (passati da 22.884 adozioni nel 2004 a 7.094 nel 2013), la Spagna (passata da 5.541 adozioni realizzate nel 2004 a 1.191 nel 2013) o la Francia (che passa da 4.079 adozioni sempre nel 2004 a 1.343 nel 2013). Per i dati nazionali, la fonte è la CAI; per i dati internazionali la fonte è Peter Sellman, Newcastle University, UK, dall’intervento  “The Decline of Intercountry Adoption in Europe 2004-2014” presentato al Seminario Nazionale di Firenze su ‘Gli Enti autorizzati e le adozioni internazionali’ del 9/11 febbraio 2016.
[10] Per citare gli apporti in italiano fra i più utilizzati, si vedano i lavori di approfondimento sulla Network Analysis di Paola Di Nicola con la nuova edizione aggiornata del volume La rete: metafora dell’appartenenza. Analisi strutturale e paradigma di rete, Franco Angeli, Milano 2015; lo storico lavoro di Pierpalo Donati e Fabio Fogheraiter, Community care. Teoria e pratica del lavoro sociale di rete, Edizioni Erickson, Trento 1991; ed infine sempre di Fabio Folgheraiter, il volume del 1998, giunto alla decima ristampa nel 2016, Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete, Franco Angeli, Milano 2016.
[11] Birds of Feather (B.o.F.), cfr. nota 6.


[12] Cfr. i testi base di D. A. Schon, The reflexive practicioner, Basic Books, New York 1983 (tr. It.: Il professionista riflessivo, Dedalo Edizioni, Bari 1993) e Educative the reflective practicioner, Jossey Bass, San Francisco 1987 (tr. It.: Formare il professionista riflessivo, Franco Angeli, Milano 2006).
[13] M. Striano, presentazione all’edizione italiana di D.A. Schon, 2006, op. cit., pp. 12-13
[14] G. Macario, L’arte di formarsi, Unicopli, Milano 2008
[15] Cfr. G. Macario (a cura di), Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Quaderni n. 15/2000, n. 20/2002 e 35/2005, Istituto degli Innocenti, Firenze.
[16] Cfr. G. Macario, Commissione per le adozioni internazionali, Collana Studi e Ricerche, Volumi n. 1/2003, 4/2005, 7/2008, 10/2010, 15/2011, 17/2012, 18/2012, 20/2013, Istituto degli Innocenti, Firenze.
[17]  F. Scaparro e M. Bernardi, cit. in G. Macario (a cura di), Dall’istituto alla casa, Carocci, Roma 2008, pp. 23-24.
[18] Cfr., del maggiore esperto di resilienza a livello internazionale, B. Cyrulnik, Autobiografia di uno spaventapasseri, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, pagg. 184-208.
[19] Il modello è denominato ‘La casita’, ‘piccola casa’, ed è finalizzato a rappresentare “una risposta pragmatica al bisogno di vari professionisti -educatori, psicologi, pediatri, assistenti sociali- di comprendere e declinare a livello pratico le conoscenze scientifiche nell’ambito dell’esperienza professionale”. L. Pandolfi, Costruire resilienza, A. Guerini e associati, Milano 2015, pag. 38.
[20] Le conclusioni sono state tenute dall’autore in qualità di responsabile scientifico e formativo.
[21] La sistematizzazione del tema era assegnata alla prof.ssa Maria Luisa Raineri con l’intervento ‘Reti di reciprocità nei percorsi adottivi: cosa sono e come promuoverle.’
[22] Il Medico pediatra Giorgio Zavarise ha introdotto il tema parlando di ‘Adozioni internazionali e salute del bambino adottato: la rete in ambito professionale’.
[23] La relazione di apertura dei lavori, sul tema ‘Relazioni di cura formali e informali nelle adozioni internazionali. Ruolo delle Istituzioni e del settore no-profit’ è stata tenuta dalla Prof.ssa Paola di Nicola.
[24] Le Regioni coinvolte sono state la Regione Lazio, la Regione Piemonte, la Regione Emilia Romagna e la Regione Veneto.
[25] ARAI e CIAI i due Enti coinvolti.
[26] Il Progetto A.A.A. nel primo caso, portato dal nucleo Adozioni e Affido della AUSL di Bologna, e il Servizio di Documentazione dell’Istituto degli Innocenti nel secondo riferimento.
[27] Contributo nella prima giornata portato dalla dott.ssa Donata Bianchi dell’Istituto degli Innocenti, responsabile del Servizio Ricerca e Monitoraggio.
[28] Intervento nella seconda giornata svolto da Franco Floris, direttore della rivista Animazione Sociale.
[29] Intervento nella terza giornata, a cura di Federico Zullo, Presidente dell’Associazione Agevolando.
[30] F. Olivetti Manoukian, 2015, op. cit., p. 31.