domenica 22 ottobre 2017

LA MAGIA DI LELE LUZZATI IN SINAGOGA

Nel decimo anniversario della scomparsa di Lele Luzzati alla Sinagoga di Genova nel Museo Ebraico, fino al 20 dicembre, è possibile visitare gratuitamente la mostra 

'Viaggio nel mondo ebraico'


Emanuele Luzzati (1921-2007) è sempre stato un artista laico, ma non ha mai disdegnato di contribuire con le sue opere anche al progresso del Mondo Ebraico, cui pure apparteneva, visto anche il ruolo rilevante di suo padre nella Comunità Ebraica genovese. Diceva infatti di se stesso: "Sono ebreo perché sono nato ebreo, così come sono nato a Genova. Non è una cosa che si spiega, è così e basta."
E' per questo che le sue opere, anche in tema ebraico, restituiscono comunque un senso di leggerezza, di freschezza e di allegria, 'con uno sguardo inimitabile'.
Le foto che seguono documentano l'inaugurazione della mostra di oggi pomeriggio (22 ottobre 2017-h. 17.30) (G.M.)

Parte I - VITA E ALCUNE OPERE IN MOSTRA

1-La  Sinagoga Maggiore

2-Arazzo: l'ascesa dalla Lanterna di Genova a Gerusalemme

3-Modello teatrale e dipinto

4-Manifesti del Teatro Ebraico

5- Illustrazioni varie

6-Illustrazioni varie

7-Illustrazioni varie

8-Il peccato di Adamo ed Eva e illustrazioni varie

9- Immagini varie di Luzzati con la sorella Gabriella e famigliari nel Kibbutz Ruhama

10-Disegni di Lele del 1940 e foto

11-Albero genealogico della famiglia Luzzati

12-Foto dai nonni a Ferrara

13-Gli antenati e la famiglia, fino a Lele e Gabriella da piccoli

14-Modellino de Il Golem al Maggio Fiorentino, per la regia di di Fersen

15- Lele Luzzati e Aldo Trionfo nella scuola elementare di Castelletto a Genova.


Parte II - ALCUNE PRESENZE ALL'INAUGURAZIONE

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ROBINSON - UN VIAGGIO NEI MEANDRI DEL SILENZIO

ROBINSON - UN VIAGGIO NEI MEANDRI DEL SILENZIO
                                                                     
                                                  di Giorgio Macario


‘Preferisco il silenzio’ è il titolo dell’inserto ROBINSON del quotidiano La Repubblica del 22 ottobre 2017. Nel (relativo) silenzio di una domenica mattina, giornata (a volte) dedicata al riposo, ho cercato di viaggiare nei meandri delle citazioni silenziose degli autori, alla ricerca di un percorso almeno in parte (e necessariamente) autobiografico, perlomeno nella scelta delle sottolineature maggiormente sintoniche con una attualità stretta fra i timori per la deflagrazione europea dell’indipendentismo catalano e la recrudescenza dell’egoismo respingente di una crescente maggioranza rumorosa.

"Prima ancora di metterci in ascolto dobbiamo saper fare silenzio dentro di noi.
Solo da questo silenzio può nascere l’ascolto, l’apertura all’altro” – Simone Weil (1909-1943)
(Da ‘Le frasi’ di Anastasia Martino)

Il silenzio ha un prezzo.
“(Il silenzio) è diventato un bene molto richiesto e sempre più prezioso. Un investimento che non tutti si possono permettere, dalle case alle auto fino agli orologi. Lo spiega l’autore di un saggio che esce ora in Italia (John Biguenet, Elogio del silenzio, Il Saggiatore, 2017).”
“...benchè non ne possediamo alcuna esperienza diretta, l’utilità del silenzio come concetto è per noi inesauribile, e in un mondo assordante il suo valore cresce in maniera vertiginosa. (...) La diffusione del rumore è stata così pervasiva che gli esseri umani faticano a mantenere anche la minima parvenza di quiete. (...) E allora perchè cerchiamo il silenzio, se inseguirlo è vano? Forse perchè non comprendiamo appieno che cosa stiamo inseguendo. (...) Davvero desideriamo il silenzio, o non è piuttosto la solitudine che vogliamo, un isolamento in cui stare soli a leggere, ascoltare musica, lasciarci assorbire da noi stessi senza l’elemento di disturbo degli altri? Alla fin fine, forse non è dal rumore che tentiamo di scappare, quando ci diciamo che vorremmo un po’ di silenzio.” (John Biguenet)

Michael Collins, il vero protagonista silenzioso dello sbarco sulla Luna.
“Allora, mentre tutto il mondo stava con gli occhi a guardare i due (Armstrong e Aldrin) poggiare i piedi sulla Luna, Michael se ne andò. (...)si inoltrò verso il lato oscuro della Luna. (...) Collins, in quel momento, divenne così remoto da tutti: l’unico uomo dell’intero sistema solare a essere separato da ogni cosa. (...) Solo lui, da lì, per quarantasette minuti, entrò in quel rovescio di universo, in quel vertiginoso silenzio. Nè Aldrin nè Armstrong poterono mai provare quel che lui provò quando si inoltrò in quell’assoluto silenzio universale.” (Federico Pace)

I monasteri del silenzio.
“Il silenzio non si può insegnare. Al massimo lo si può apprendere quando, sorprendendoci, viene incontro. E i monasteri, da secoli, sono luoghi dove lo si può trovare ma non ci si aspetti che lì il silenzio sia qualcosa di maestoso, di imperativo e di solenne. (...) Il silenzio dei monasteri è un’altra cosa. E’ frutto di un npaziente compromesso; è una fragile tessitura dove i fili dell’attenzione si intrecciano fra il dentro e il fuori di sè, viaggiano fra l’irriducibile singolarità di ciascuno e la composita variegazione di una comunità nella quale, sette volte al giorno, si intona l’accettazione della perfetta polifonia dei destini.” (Giorgio Boatti)

Alla ricerca del silenzio assoluto si incontra il suono del cuore, delle giunture, dei polmoni.
“Il silenzio è un miraggio. Non solo per chi vive in città tra traffico, lavori stradali, smartphone, condomini molesti e che può sperare in sollievi minimi (...) Che il silenzio sia un fantasma irragiungibile lo si capisce entrando in uno dei posti più silenziosi del pianeta. La camera anecoica degli Orfield Labs di Minneapolis (c’è una stanza simile in Italia, a Ferrara) (...) Dopo poco l’udito si abitua e inizia a diventare più sensibile. (...) Per esempio dopo un quarto d’ora dall’ingresso udirai i battiti del tuo cuore, e dopo mezz’ora – se muovi le braccia- il suono delle tue giunture. Dopo quarantacinque minuti riesci a sentire i tuoi polmoni.( Steve Orfield, fondatore dei Labs). Se il silenzio artificiale inquieta, quello naturale, gentilmente violato dal vento tra le foglie e dagli uccelli, può curare: Yoshifumi Miyazaki, docente di scienze ambientali della Chiba University, ha portato impegati di mezza età giapponesi, logorati dal caos urbano, a passeggiare per due giorni nella foresta e ha misurato un aumento temporaneo del 56 per cento nell’attività anticancro del sistema immunitario.” (...) Ecco perchè la perfetta assenza di rumori è, per i viventi, un miraggio: quando c’è, non ci siamo noi. E viceversa. Lo prova la camera anecoica, chiosa Orfield. Immerso nel più profondo silenzio, sei tu a diventare suono.” (Giuliano Aluffi)

Il silenzio e la parola in una prospettiva storica.
“...il silenzio ha cominciato a esistere quando è nata la parola. Ce lo suggerisce l’etimologia: silenzio deriverebbe dalla radice hsh, da intendersi innanzi tutto come il tacere dell’uomo, anzi di più, il comando di tacere, che ancora oggi impartiamo con un suono inarticolato -shh- non così diverso dall’antica radice. (...) La maggior parte degli studiosi  oggi ritiene che il linguaggio non si sia evoluto dalle vocalizzazioni, ma dai gesti. (...) la prima parola è stata un indice puntato. O premuto sulle labbra, a ordinare il silenzio. E’ un gesto molto antico, forse preistorico. (...) Per i greci il silenzio è trattenimento della parola. (...) Ed è proprio sull’alternarsi regolato fra parola e silenzio che si fonda l’assemblea della polis: gli uomini liberi hanno diritto di parola, quindi di essere ascoltati in nsilenzio. (Roberto Mancini).” ( Giulia Villoresi)   

E per concludere: l’Accademia del Silenzio.
“Lo sforzo del pensiero occidentale di mantenere la giusta misura tra parola e silenzio sembra essere fallito. Lo si evince dal fiorire di una letteratura difensiva (i nuovi omaggi al silenzio), che si inserirebbe nello stesso filone delle riflessioni fatte nei secoli passati, se non fosse che per un punto: spesso si tende ad ignorare l’ambiguità del silenzio, e dunque a banalizzarlo. Lo si trasforma in un’esperienza turistica, lo si riduce a sinonimo di pace, lo si configura nelle immagini importate dei giardini zen. E’ un aspetto segnalato con vigore da Duccio demetrio, filosofo e fondatore, con Nicoletta Polla-Mattiot, dell’Accademia del Silenzio, nota scuola di pedagogia che pubblica per Mimesis i suoi taccuini e varie opere de silentiis. Per falso romanticismo, spiega Demetrio, a volte cerchiamo il silenzio come fuga, e andiamo incontro al dramma. Perchè il silenzio ha anche un lato terribile (di prefigurazione della morte, per esempio) che per essere superato deve prima essere conosciuto. Solo così possiamo scoprirne a pieno il valore etico. Su questo si fonda il lavoro dell’Accademia. (Giulia Villoresi)                                                                                                             (NdA: segue un interessante disamina del contributo portato da un altro membro dell’Accademia, l’antropologo Paolo Anselmi dell’Università Cattolica di Milano e vicepresidente dell’Istituto italiano di ricerca sociale di Gfk Eurisko, nel suo saggio in uscita per Mimesis, Cercatori di silenzio, dove si commentano i risultati di una ricerca condotta dall’Accademia su 180 persone che raccontano la loro personale esperienza di silenzio, dove emerge con prepotenza il silenzio come rifugio dal rumore.)

“Quando pronuncio la parola silenzio la distruggo” – Wyslawa Szymborska (1923-2012)
(Da ‘Le frasi’ di Anastasia Martino)


domenica 15 ottobre 2017

DUCCIO DEMETRIO - Realtà e finzione in autobiografria

E' la prima volta che ospito sul mio blog uno scritto dell'amico e collega Duccio Demetrio, fondatore e animatore della Libera Università dell'Autobiografia, che rispondendo alla richiesta di documentare  il suo intervento su 'Realtà e finzione in autobiografia' al recente Festival dell'Autobiografia di Anghiari, ha legato il tema trattato a quanto accaduto in questi giorni. La vicenda  riguarda Loris Bertocco e la morte assistita cui è andato incontro con grande dignità. 
Mi è sembrato importante consentire fin da subito la diffusione di questo scritto per rendere omaggio  alla sua testimonianza di rara lucidità.

Duccio Demetrio
REALTA’ E FINZIONE IN AUTOBIOGRAFIA

A poco più di  un mese dal Festival dell’ Autobiografia.

Oggi è 12 ottobre.

Credo che in molti abbiano letto su la Repubblica di oggi le ultime parole di Loris Bertocco, che ha “dovuto” scegliere di affidarsi alla morte assistita, naturalmente non in Italia. Quando ogni speranza, l’energia vitale già precaria non potevano concedergli più alcun domani. “Mi è difficile immaginare – scrive nel saluto – il resto della mia vita in modo minimamente soddisfacente, essendo la sofferenza fisica e il dolore diventati per me insostenibili e la non autosufficienza diventata per me insopportabile”. In un tragico paradosso,  poiché l’ arbitrio libero della scelta non dovrebbe avvenire sotto un’ urgenza dovuta a costrizioni che ci impediscano il diritto alla vita. Tanto più, come è stato per Loris - e non soltanto per lui -, ancora nella lucidità di una coscienza che gli ha consentito di lasciarci una scrittura autobiografica esemplare. Non soltanto per la realtà dei fatti personali esposti - rispecchiati in chi lo conobbe - che ben poco affidano al sospetto che si sia in presenza di qualche tentazione a fingere, alterando talune verità: del corpo straziato, della cecità, dell’ abbandono. Nulla di tutto ciò può darsi: quando, come scrisse pochi giorni prima della iniezione letale: “Vi sono situazioni che evolvono inesorabilmente verso l’ insostenibilità”. E queste vanno rese note, tanto più se in gioco vi siano persino responsabilità pubbliche che concorrono ad acuire le disumanizzazioni  del tempo presente. Denunciate e vissute da quest’ uomo in prima persona. Con dignità, senso morale, nella sfida durata quarant’anni con irrisolvibili problemi superati fino ad un certo punto. Fino al commiato scelto in questo mese di ottobre, la cui luminosità irreale, in una solarità sfrontata per lui, per una moltitudine di sofferenti di cui non sappiamo, invece non sembra voler consegnarci all’autunno.


La lettera  inizia così: "Sono nato a Dolo il 17 giugno del 1958. Il 30 marzo 1977 - frequentavo l’ Istituto tecnico, avevo 18 anni – ho avuto un incidente stradale: un’ automobile mi ha investito mentre ero in ciclomotore. C’è stata una frattura delle vertebre C5-C6 e sono rimasto completamente paralizzato. Purtroppo fin da ragazzo ho avuto anche problemi di vista. Dal 1987 sono stato classificato ipovedente; dal 1996 cieco assoluto. Tra le cose importanti della mia vita c’è stata una notevole sensibilità per i problemi sociali e politici. Nel 1990 sono diventato consigliere comunale per i Verdi per alcuni anni nella città Mira […] Nel 1996 ho conosciuto Annamaria, che è diventata mia moglie nel giugno del 1999 […] La situazione complessiva ha portato nel 2011 mia moglie a non riuscire più ad affrontarla. Il fatto che dovesse cercare faticosamente quasi da sola la soluzione ai problemi quotidiani l’ha portata ad una decisione estrema, cioè la richiesta di separazione […] Sono convinto che se avessi potuto usufruire di assistenza adeguata avrei vissuto meglio la mia vita, soprattutto questi ultimi anni, e forse avrei rinviato un po’ la scelta di mettere volontariamente fine alle mie sofferenze. Ora è arrivato il momento. Porto con me l’ amore che ho ricevuto e lascio questo scritto augurandomi che possa essere d’aiuto alle tante persone che stanno affrontando ogni giorno un vero e proprio calvario […] Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa."

Uno scritto autobiografico, il suo. Limpido, sferzante, autenticamente connesso con la tradizione classica, migliore e pedagogica – ogni autobiografia è un’ esperienza del resto di formazione - di un genere che, ben prima di essere letterario, è narrativo. Poiché se non tutti possono permettersi di affinare l’ arte del racconto, tutte e tutti invece - anche con poche righe - sono in grado di esprimere chi siano stati, come abbiano vissuto, che senso abbia avuto per loro, per noi, una vita di pochi anni o lunga fino all’eccesso. E’ una lettera contrassegnata da un lascito morale inequivocabile, che percorre la realtà “vera” del suo passato, della sua resistenza a non essere sconfitto. A tratti addolcita dalla gratitudine verso chi lo aiutò a non smarrire, nelle sue condizioni, il filo di un legame fortemente intrecciato a scelte doverose nell’arco di anni fattisi sempre meno ancora possibili. Con gli altri, con il bisogno tenacemente perseguito di sapere e di lottare non soltanto per sé. Loris ci lascia una lezione di realismo autobiografico assoluto. Forse, chissà, occorre giungere al crinale della morte o averlo più volte percorso, sia essa cercata oppure attesa ad occhi ben aperti, per scrivere le torture della propria vicenda come lui ha saputo. Nel coraggio, nella più disarmata rassegnazione, nella rivolta contro un destino che egli seppe e poté, mai da solo, piegare alla propria volontà di continuare a respirare nel risveglio doloroso, ma ottimista, dei giorni. Possiamo, in autobiografia, adottare stili e sottogeneri diversi per raccontarci; possiamo alterare qualche ricordo non per mentire, ma per consentirgli di apparire più letterario e convincente; o, ancora, potremo cercare di apparire quel che avremmo voluto essere. In tutti i casi, il canone autobiografico non verrà tradito o eccessivamente manipolato quando alcune note esistenziali scandiscano le pagine in trasparente evidenza. Quando compaiano date salienti, evocazioni di luoghi ( qui: “Abbiamo ampliato e ristrutturato la mia vecchia casa;…”); quando  figure determinanti vengano evocate con gratitudine (qui: “Mio padre è mancato, mia madre ha avuto problemi di salute e non ha potuto darmi la sua assistenza come nei periodi precedenti”). O quando nella storia irrompe l’evento che ti tronca un avvenire promettente; la scoperta determinante della amicizia, dell’amore, della solidarietà. E quindi, così come ci sono i fatti, comprovabili da chi ti conobbe ( senza i quali, un’ autobiografia può ridursi soltanto ad un dialogo  con se stessi: disincarnato, consolatorio, inafferrabile); anche i sentimenti diventano tali, se tracciano in profondità i fili conduttori di una esistenza diversa, diversamente capace di sopportare l’ infelicità, che è simile tuttavia a quella di ognuno di noi. Le parole secche, la concisione sintattica, l’ eco inequivocabile di un’ oralità affidata alla penna altrui, gli accenni essenziali per dirsi ed essere intesi, scorrono rapidamente e celebrano il compito ancestrale della scrittura. In che altro consiste se non nell’essere riusciti a incidere su una pietra, una pergamena, un foglio o uno schermo, il disegno di una storia, che non ha più tempo per soffermarsi su particolari inutili? Anche se, probabilmente, il temperamento di Loris avrebbe voluto lasciare spazio alle “ali della poesia”, avrebbe voluto avere più tempo per lasciarci indizi di quanto sia riuscito a vivere momenti di gioia, di entusiasmo, di godimento. Ma, egli, ha dovuto scrivere il proprio memoriale in forma d’epitaffio, sacrificando la bellezza, parole più tenere e amabili. In tale atto definitivo ha potuto solamente gridare senza enfasi la propria autosufficienza, grazie tuttavia all’aiuto di uno scrivano di cui non conosciamo il nome. Il cui soccorso prestato, ben oltre le quotidiane incombenze non possiamo che ringraziare. Leggendo la lettera nella sua breve totalità (reperibile in internet), ci imbattiamo in una testimonianza e in un testamento. Un’ autobiografia può essere lunga 5 pagine o 500, ciò che conta è che sia concepita – come questo estremo saluto – al fine di farci intendere l’ esistenza di una  trama tessuta con la ferocia della solitudine che Loris non ci sbatte in faccia; con le cose inequivocabili, con gli incontri fatali e le situazioni del mondo reale capaci di dettarci il nostro destino. In una lotta arcaica tra la necessità, l’irruzione del caso, la forza di reagire con la volontà di esistere. Eppure, la sua realtà, il suo passato, il suo presente ormai ridotto a poche ore ancora, hanno saputo comunque protendersi verso bagliori di finzione. Qualora si intenda tale registro narrativo non nei modi scaltri  della menzogna ad effetto, della fantasticheria avventurosa, dell’immaginario rocambolesco, della evasione sfacciata dalla storia personale.


Loris Bertocco agisce il suo realismo finzionale (l’unico dignitoso e nobile in autobiografia) nel proiettarsi e proiettarci verso il futuro. Nel crederci, nella sua ora ultima affidandolo ad altri, a noi che restiamo:

Il mio impegno estremo, il mio appello, è adesso in favore di una legge sul “testamento biologico” e sul “fine vita […] Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini”  e che proseguiranno la battaglia per il diritto ad una vita degna di essere vissuta e per un mondo più sano, pulito e giusto”. Loris ha saputo dimostrarci che non vi può essere separazione tra realtà e finzione quando l’ autobiografia trasudi verità umana e umanità; bensì riconciliazione, alleanza, fecondità creativa. Quando la seconda protagonista si mostri veicolo e viatico dei nostri desideri realizzati o da consegnare a chi resta come sogni capaci di produrre realtà e storia di libertà, emancipazione, giustizia civile per tutti.

sabato 14 ottobre 2017

MINORE A CHI?

MINORE A CHI?  

                                                                (di Giorgio Macario)
                                                                                 


Così ho intitolato un volume che ho curato nel 2005 su 'Condizione e diritti dell'infanzia e dell'adolescenza' che sintetizzava un percorso di formazione e sensibilizzazione promosso dal Consiglio Regionale della Basilicata e rivolto ad oltre 200 operatori del settore, condotto per conto dell'Istituto degli Innocenti di Firenze.



Perché lo cito oggi? Perché già 12 anni fa si delineava questo processo, oggi sempre più esasperato, di un 'assedio' ai danni dei bambini condotto sia da parte di presunti esperti che da parte di molti genitori in allarme continuo e tendenzialmente iperprotettivi.
I bambini sono sempre meno, e questo è un dato di fatto: ho citato recentemente un dato comparativo che nel 1950 in Italia vedeva 31,4 anziani sopra i 65 anni per ogni 100 minori di 15 anni (e nel 1881 erano la metà, il 15%), mentre nel 2015 si è passati a 153 over sessantacinquenni in Italia ogni 100 ragazzi e ben 250 a Genova.


E proprio questa rarefazione dell’infanzia sembra andare di pari passo con un allarme esasperato ed amplificato dai Media, che genera dubbi ed apprensioni, specie nelle madri, ad ogni piè sospinto.
Invece di essere capaci, da adulti, di considerare i rischi commisurati ai dati di realtà, consentendo ai ragazzi di assumersi, nel loro 'piccolo', i propri, pretendiamo di far sparire dall'orizzonte qualsiasi fonte di ansietà alimentando controlli esasperati.
Non è una questione di forma, bensì di sostanza. Tollerare un certo margine di ansietà da parte del genitore è funzionale al raggiungimento di una maggiore sicurezza di sè da parte del proprio figlio.
Diversamente non costruiamo maggiore sicurezza intorno a nostro figlio, ma alimentiamo un circuito perverso che indebolisce e non rafforza.



Un esempio, che ricordo citato da un collega relatore durante questa formazione, mi aveva particolarmente colpito: negli anni ’60 un prete aveva caricato su di un vecchio pullmino della parrocchia un certo numero di bambini per portarli in gita; ora questo sacerdote, come capitava spesso, ogni tanto beveva qualche bicchiere in più e durante il tragitto, pur procedendo a velocità ridotta, aveva fatto andare una ruota poco fuori il bordo della strada, fermando di fatto il mezzo; un automobilista di passaggio lo aveva aiutato a rimetterlo in carreggiata, ed erano ripartiti con tutti i bambini che non stavano più nella pelle per l’avventura vissuta, e che avrebbero raccontato e ri-raccontato per settimane. Se un tale episodio accadesse oggi sarebbe già dubbio per il sacerdote in questione evitare il carcere, ma ancor più lo stesso spostamento di ciascuno dei ragazzi avrebbe probabilmente visto genitori niente affatto tranquilli accompagnare essi stessi il figlio a destinazione, impedendo di fatto un’esperienza non certo auspicabile in quanto tale, ma certamente ‘arricchente’.



In conclusione, quindi, ripropongo il quesito come domanda aperta: MINORE A CHI?