domenica 9 dicembre 2018

GIAMPIERO ALLOISIO in 'Il Maestrone - I miei anni con Francesco Guccini'

Un esempio di Cultura Autobiografica Musicale.



GIAN PIERO ALLOISIO in: IL MAESTRONE – I miei anni con Francesco Guccini
                                                         
di Giorgio Macario[1]


Venerdì 7 dicembre 2018 ho potuto assistere, presso il Teatro della Tosse di Genova, alla prima nazionale del nuovo spettacolo di Gian Piero Alloisio che racconta le canzoni e le passioni degli anni ’70.


Perchè parlarne in chiave autobiografica? E perchè farne un’esempio di Cultura Autobiografica Musicale? Principalmente perchè l’attuale fase di costruzione in tutta Italia dei Circoli di Scrittura e Cultura Autobiografica nell’ambito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari è proprio orientata a valorizzare, oltre allo specifico delle attività laboratoriali di scrittura, tutto quel macrocosmo che può essere significativamente denominato come appartenente alla ‘cultura autobiografica’ più in generale.


E visto che in ambito autobiografico, partire da sè e da quanto si prova, aiuta a connotare in modo più partecipato e meno astratto le riflessioni che transitano attraverso la scrittura, vi dirò subito che Gian Piero Alloisio -del quale ho scoperto solo ieri di essere coetaneo- ha rappresentato uno degli autori musicali che più ho stimato in gioventù, seguendo in particolare l’innovativa sua esperienza dell’Assemblea Musicale e Teatrale , che dal 1975 al 1979 ha accompagnato la mia giovinezza e le esperienze più significative della cultura giovanile di quel periodo.


“Questo non è un tributo, nemmeno una biografia, semmai è una summa di quello che provavo io, ai tempi ventenne,  cosa mi girava intorno in quei quattro anni di preziosa collaborazione”.  Così lo stesso Alloisio parlando dello spettacolo dedicato alla sua collaborazione con Francesco Guccini nella seconda metà degli anni ’70. In questo periodo l’A.M.T. (che non è l’azienda dei trasporti genovese, come tiene a precisare lo stesso autore!) con Alloisio front-man e voce del gruppo, apre i principali concerti di Guccini. Basterebbe ricordare che le canzoni ‘Venezia’ e ‘Dovevo fare del cinema’ sono interpretate da Guccini ma scritte da Alloisio, mentre per altri testi è accaduto l’inverso ed altri ancora sono stati scritti insieme.


Ma veniamo allo spettacolo, durante il quale Alloisio si è fatto accompagnare dalla magica chitarra di Gianni Martini, anche lui co-partecipe delle esperienze narrate, ed ha entusiasmato il folto pubblico presente alternando i racconti delle sue personali esperienze con ‘il maestrone’ (soprannome di Guccini legato sia alla sua grandezza musicale che alla sua ‘presenza’ fisica) con l’esecuzione di alcuni fra i più bei brani del suo repertorio, tratti prevalentemente dal mitico LP di esordio ‘Dietro le sbarre’ e da ‘Marilyn’, quest’ultimo prodotto dallo stesso Guccini.


Ottima la sua presenza scenica, che riesce ad emozionare ed a far sorridere a fasi alterne un pubblico più che attento, aggiungendo brani di tributo come ‘Ho visto anche degli zingari felici’ per l’amico Claudio Lolli e ‘Ciao amore ciao’ per Luigi Tenco, rivendicando il ruolo di anti-Sanremo  del Premio Tenco per la canzone d’autore, che ha visto Guccini protagonista e vincitore in più di una edizione. L’unica delusione, probabilmente dettata dall’aver dedicato un’intero spettacolo di grande successo all’amico Giorgio Gaber, con il quale ha collaborato per 16 anni, è stato l’intonare la prima strofa di un brano insuperabile come ‘Il dilemma’ e interrompere un’emozione per riprendere il filo della narrazione con i riferimenti allo spettacolo ‘Ultimi viaggi di Gulliver’ realizzato nel 1981 proprio con Gaber, Luperini e con lo stesso Guccini. Scelta comprensibile ma che anche adesso che sto scrivendo mi ha spinto ad interrompermi per riascoltare questa poesia in musica in entrambe le versioni, sia di Gaber che dello stesso Alloisio.



Per concludere, credo che questo contributo di teatro-canzone ben rappresenti un intreccio significativo fra un filo conduttore autobiografico, che ha per protagonista ed interprete principale lo stesso Alloisio, e un costante riferimento biografico a Francesco Guccini, suo mentore e ispiratore. Un esempio significativo, appunto, di cultura autobiografica musicale. Da non perdere.

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[1] Formatore e psicosociologo, è membro della Direzione Scientifica della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari e responsabile della comunicazione.

giovedì 29 novembre 2018

A LIBRO APERTO. Una vita è i suoi libri. di Massimo Recalcati

MASSIMO RECALCATI

A LIBRO APERTO. Una vita è i suoi libri

(Feltrinelli Editore, Milano, 2018)


Invito alla lettura di Giorgio Macario

“Questo libro racconta come un libro possa diventare un vero e proprio incontro, come l’esperienza della lettura possa contribuire in modo decisivo nel dare forma singolare a una vita. Si può leggere come una sorta di autobiografia costruita attraverso la lettura di alcuni dei libri che sono risultati determinanti per la mia formazione di psicoanalista, di intellettuale e di uomo. Non siamo forse noi tutti fatti anche dai libri che abbiamo letto? I libri non sono forse delle esperienze che ci hanno segnato?”
E’ lo stesso Massimo Recalcati a introdurre egregiamente il suo ultimo libro che ci parla di altri libri, i libri che più ha amato e che raccontano la sua vita. I libri che hanno letto la sua vita -come ci tiene a precisare- perchè “leggere significa anzitutto essere letti dal libro, esporsi alla lettura del libro.” E se è vero che un libro è un incontro -meglio, un incontro d’amore, ci dice l’autore-, è anche vero che nel libro ritroviamo pezzi di noi stessi, dimenticati o non ancora conosciuti.

Sembra quasi che i libri offrano al lettore un proprio contributo biografico, teso a sostenere il lettore nella costruzione di una parte della propria autobiografia. Ed è così che l’Odissea di Omero vede Recalcati bambino trovare talmente irresistibile il ritorno di Ulisse da far dimenticare, nel ricomporre la ferita dell’assenza del padre, il vero finale del poema con il nuovo viaggio di Ulisse; che il sergente nella neve di Rigoni Stern lo riporta al suo incipit vitale di neonato sopravvissuto al “freddo emotivo dell’incubatrice”; che la Nausea di Sartre lo ricollega, fra l’altro, lui studente di filosofia alla Statale di Milano, all’esperienza di radicale assenza di senso dell’esistenza; che Al di là del principio del piacere di Freud lo rimanda alle riflessioni sulla pulsione di morte connessa alla ‘coazione a ripetere’, e proprio la ricerca di una apertura effettiva alla vita lo conduce, al termine degli studi di filosofia, al divano del suo primo analista; che gli Scritti di Lacan lo attraggono perchè assolutamente indecifrabili, bizzarri e illeggibili, al pare dei suoi sintomi che a breve lo porteranno, terminati gli studi, ad abbandonare la promettente carriera universitaria cui si frapponeva una ingombrante angoscia; e così via.

Se la seconda parte del volume ripercorre il contributo dei nove libri-incontri alla sua crescita, la prima parte, dedicata a riflessioni sulla funzione del libro, offre interessanti squarci su librerie e biblioteche interpretate come inconscio del soggetto (il primo sogno che Recalcati ci dice di aver portato in analisi); su pazienti bibliofili che tendono a sostituire la vita con i libri; sul libro come lezione dell’aperto contro il chiuso; sul libro come narrazione dell’esperienza; sulla forza del libro come forza del desiderio; per non citare che alcuni dei temi trattati. Fino a comprendere, ci dice Recalcati, che i libri ‘ci prendono’ proprio quando evocano “frammenti sepolti o ardenti del nostro passato”, ed è allora che “i confini del libro (...) si dilatano in me, proprio mentre il libro mi porta presso di sè.” Un modo particolarmente originale per intrecciare lettura e scrittura di sè.  

giovedì 1 novembre 2018

FOLIAGE. Vagabondare in autunno - di Duccio Demetrio


DUCCIO DEMETRIO

FOLIAGE. Vagabondare in autunno

(Raffaello Cortina Editore, Milano, 2018)



Recensione di Giorgio Macario




Già nel titolo del preambolo -“Sfogliando questo libro, per riscoprire l’autunno”-, l’autore ci svela, con poche e misurate parole, modalità d’uso e finalità di questo agile e intenso taccuino dedicato a chi ami vagabondare o aspiri a farlo, accompagnando possibili esplorazioni nella natura autunnale.


Ed è il vagabondare, più che l’autunno, che  in un primo momento ha particolarmente attratto la mia attenzione. Forse perchè, poco tempo fa, proprio vagabondando pigramente fra i banchetti di un mercatino dell’antiquariato, ho trovato una autobiografia molto particolare: edita nel 1908 e stampata in Italia 40 anni dopo, l’Autobiografia di un supervagabondo (di un poco noto W.H. Davies, con la prefazione di un notissimo G.B. Shaw) mi aveva già spinto a riconsiderare la connotazione piuttosto negativa che si tende ad associare a chi ‘vagabonda’.


In maniera analoga, la vastissima disamina delle rievocazioni legate all’autunno fatta da Demetrio con citazioni in tema di poeti, scrittori e filosofi, disamina per niente disgiunta da riferimenti autobiografici anche ‘in presa diretta’ con la stesura del volume -assolutamente da non perdere l’intrigante secondo capitolo su ‘Il ciliegio che non sapeva sfiorire’- mi hanno portato a riabilitare la stagione autunnale facendomi apprezzare le sue mille sfumature, anche etimologicamente orientate più a “crescita (...) arricchimento e maturazione” piuttosto che a senescenza, malinconia e decadenza; pensando alla raccolta dei frutti spontanei della terra, dei prodotti del lavoro agricolo e alla bellezza dei paesaggi autunnali più che a “frane, esondazioni, allagamenti”; ed infine considerando che “l’autunno è l’epopea della continua mutazione, della variazione, della metamorfosi”, destinato a deludere “chiunque aspiri (...) alla stabilità, all’equilibrio, all’armonia”.


Per giungere, finalmente, a svelare il fatto che il ‘Foliage’ del titolo è termine inglese, con prevalente pronuncia francese che rende tale parola “più liquida, morbida e (...) quasi evocatrice di una foglia che al vento ondeggiando si allontana con un sospiro.” E il Foliage si riferisce in particolare agli alberi che raccontano se stessi, perchè :”E’ grazie alle foglie, alle loro qualità, che gli alberi meglio sanno esprimersi, raccontarsi, tacere...”. E, ancora, sono sempre gli alberi “i grandi autori e attori dell’autunno”.


Se è vero che “L’autunno non è solamente una stagione, è uno stato d’animo”, come ci dice la citazione di Friedrich Nietzsche posta dall’autore in apertura del volume, è anche vero che Demetrio, supportato da un apparato iconografico-pittorico di indubbia efficacia evocativa, proietta l’autunno oltre i suoi canonici confini temporali proponendolo come stagione della vita affrancata dall’antica metafora che la associa alla maturità ormai declinante. Perchè è proprio “dalla valorizzazione delle storie soggettive e individuali come risposta alle massificazioni planetarie” che emergono narrazioni, sia in sede clinica che autobiografica, “che ci suggeriscono quanto l’autunno, da stagione dei declini, si stia rivelando una metafora degli inizi, di scoperte inaspettate, di prime volte radicalmente nuove.”


Un messaggio di speranza, ancor più apprezzabile in tempi in cui la natura sembra voler presentare un conto molto salato all’insipienza umana.



domenica 9 settembre 2018

L'INDIMENTICABILE FESTIVAL DELL'AUTOBIOGRAFIA 2018


UNO SGUARDO AUTOBIOGRAFICO SUL FESTIVAL LUA-2018



di Giorgio Macario


 
‘Vivere e scrivere il tempo’ è una tematica che rimarrà a lungo impressa nella memoria degli oltre 200 partecipanti al Festival dell’Autobiografia 2018, e non solo.


Le migliaia di visualizzazioni sui social network che hanno preceduto di alcuni mesi l’evento realizzatosi -come gli anni scorsi- ad Anghiari nel primo fine settimana di settembre, con le anticipazioni pubblicate sul nuovo sito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (www.lua.it ), e le news-letter inviate agli amici della LUA, unitamente alla presenza  di notizie sul Festival nei Media nazionali ( Il quotidiano La Repubblica l’ha indicato fra i 100 Festival di rilievo per il 2018 a livello nazionale) e locali, oltre al consueto passa-parola fra gli amici della LUA, hanno certamente contribuito al successo dell’evento.


L’avvio del Festival ha visto i saluti del Sindaco di Anghiari Alessandro Polcri, alcune considerazioni in tema della Presidente della LUA Stefania Bolletti e l’introduzione ai lavori del fondatore Duccio Demetrio.



“Se qualcuno mi chiede cos’è il tempo lo so, ma se mi si chiede di spiegare il tempo, non lo so.” Così Salvatore Natoli, filosofo e ordinario di Filosofia teoretica all’Università Bicocca di Milano, ha avviato gli approfondimenti tematici, citando Agostino nelle Confessioni, con la sua Lectio Magistralis su ‘Tempo, filosofia e scrittura di sè’. Ha parlato di un tempo ‘anziano’, nell’ambito del quale il futuro nasce per morire, e rispetto al quale l’uomo ha bisogno di eternità per potersi sottrarre al tempo, facendo naufragio per uscire dal tempo che si consuma. Ed ancora, citando il fatto che noi siamo la nostra memoria, memoria fatta di dimenticanza; se non avessimo l’oblio non avremmo la memoria, e siamo quindi molto di più di quello che emerge alla memoria, siamo molto di più di ciò che emerge in noi. Poichè essere fatti di memoria -ha proseguito Natoli-, trama di memoria, vuol dire essere costruiti da ciò che è altro da noi; non basta perciò raccontarsi, ma occorre cercare e cercarsi. E l’autobiografia appare quindi una operazione non facile, poichè bisogna esaminare ciò che si è fatto, essere censori di se stessi; ma anche condannarsi non è detto sia una soluzione, poichè è possibile farlo per sentirsi giustificati.  Confessarsi è quindi una modalità possibile per esaminarsi, ci si può infatti confessare a se stessi, ma ci si può altresì confessare ad un altro; e la confessione può essere espressa nella scrittura, perchè gli altri possano vedere come io ho fatto, come esempio per indicare una strada o sapere come gli altri possono accogliere quanto scrivo. Queste alcune delle riflessioni offerte ad un teatro stracolmo di persone in attento ascolto. Fino a giungere alla conclusione relativa alla domanda: “Come superare la delusione del tempo?” Salvandolo nell’infinito -ci dice Natoli- ma anche sapendo che si può essere sempre felici se ad ogni momento si ha la capacità di cogliere tutta la gioia possibile; è così che momento dopo momento, si finisce con l’essere felici. E’ per questo che il segreto sta nel fatto che più sa di se stessi e più si avrà la capacità di afferrare il mondo. 


Il tentativo di sintesi parziale di un contributo così denso, illuminante e approfondito, quale quello offerto da Salvatore Natoli, non è certamente all’altezza del compito e riprende solo alcuni degli aspetti che più hanno risuonato in me, ma è motivato dal tentativo di trasmettere anche alle persone non fisicamente presenti il motivo del suo essere stato accolto, al termine dell’intervento, da un interminabile e convinto applauso corale.



Un analogo applauso ha accompagnato le due esibizioni di Emanuele Ferrari, pianista e ricercatore di musicologia: un musicista-docente dotato di una rara presenza scenica, che ha alternato magistrali esecuzioni di brani classici con esemplificazioni verbali su come fosse possibile ascoltarli comprendendone sfumature e significati diversi, segmentandone l’esecuzione e intonando arie capaci di illustrare le diverse sonorità;  accompagnando quindi il pubblico fra le sue lucide dissertazioni, alternando immersioni emotivamente coinvolgenti al pianoforte con domande non retoriche rivolte ad un pubblico particolarmente attento.




I due contributi citati sarebbero bastati, da soli, a giustificare il viaggio fino ad Anghiari dalle diverse parti d’Italia, sicuramente il mio da Genova. Ma il loro concentrarsi nel pomeriggio-sera del venerdì, unitamente ad approfondimenti poetici molto significativi ed alla presentazione del nuovo circolo LUA di scrittura autobiografica in cammino ‘D.H.Thoreau’, ha contribuito al diffondersi fra i presenti nel teatro esaurito, di una soddisfazione palpabile carica di ulteriori aspettative.





Il tempo non molto clemente che minacciava pioggia per la giornata successiva, ha costretto ad alcuni aggiustamenti logistici pur consentendo la realizzazione di qualche attività all’aperto. La mattinata del sabato, svoltasi in teatro come il pomeriggio precedente, ha consentito l’approfondimento della variabile tempo in connessione alla letteratura (P. Di Paolo), all’inconscio (N. Terminio), alle immagini di sè (S. Ferrari), alla scrittura (C. Schammah) e alla lettura (F. Scrivano), così come nel primo pomeriggio altri esperti e docenti universitari, in gran parte colleghi membri del Consiglio Scientifico del Centro Nazionale di Ricerche e Studi Autobiografici, sono state esplorate le tematiche relative alle generazioni (P. Jedlowski), alla lentezza (G. Nuvolati), alla natura (G. Accinelli) ed alle infanzie (G. Bandini), in connessione con il fattore tempo.




Se poi nella sosta pranzo diverse decine di partecipanti hanno potuto realizzare i previsti Laboratori di scrittura in cammino per le strade di Anghiari, con l’esplorazione dello scrivere autobiografico, dell’apparire del desiderio, delle prime parole, della trama e dell’epilogo ed oltre, potendo contare ancora sull’assenza di pioggia, nel pomeriggio inoltrato le nove diverse presentazioni di decine di volumi, progetti e ricerche ‘Ai tavolini dei caffè’ di Anghiari, sono state tutte realizzate usufruendo degli spazi al coperto causa una pioggia a tratti battente.


Dall’infanzia alle autobiografie di cura, dai giovanissimi scrittori al tempo delle comunità, dalla saggistica autobiografica alle letture al leggio, per non citarne che alcune, tutti i partecipanti hanno avuto modo di scegliere fra le aree di approfondimento quella più gradita.



Certo, avendo io cooordinato la presentazione della sessione ‘Da un tempo all’altro: generazioni’, mi concedo in questo spazio una citazione autobiografica relativa alla presentazione dei lavori.




“Ci dice Eugenio Borgna, che premiamo quest’anno con il Premio Città dell’Autobiografia, relativamente al suo testo ‘Il tempo e la vita’ del 2015: ‘La realizzazione più profonda di una vita che non sia chiusa dentro ai muri dell’egoità, per non dire dell’egoismo, si può ottenere soltanto se partiamo dalla coscienza che noi siamo anche ciò che diamo agli altri, che realizziamo fino in fondo le nostre aspirazioni solo quando siamo in relazione con gli altri.’ Se vivere e scrivere il tempo è l’argomento generale di questa edizione odierna del Festival, il significato di questa sessione dedicata alle generazioni che si confrontano, si intrecciano, ma anche si ascoltano, è proprio l’avvio di questo essere non da soli, ma in relazione con gli altri. E non è un mistero che questa disponibilità all’ascolto degli altri parta proprio alla capacità di ascoltarsi e di valorizzazione autobiografica; e, ancora, che dalla capacità di ascolto e di memoria  che riguarda in primo luogo i propri genitori ed i propri figli si concretizzi una valorizzazione biografica che si può facilmente estendere a persone che sentiamo vicine così come ai loro genitori e figli.” E proprio queste tematiche sono state affrontate nel confronto allargato che ha coinvolto i cinque autori (D. Alfonso, A. Macario, S. Di Paolo, M. Moreschini, G. Diquattro) che hanno presentato altrettanti volumi pubblicati fra il 2017 ed il 2018.



Se la serata di sabato 1 settembre ha visto una significativa rappresentazione teatrale dal titolo ‘MemoriaControErosione. Il cibo nella valigia’ di Andrea Merendelli ed Effetto K, la mattina conclusiva di domenica 2 settembre ha racchiuso in un tempo contenuto, oltre ad alcune presentazioni sul tempo nei romanzi autobiografici, sia la presentazione dei lavori del Premio Città dell’Autobiografia-Sezione Studi e Ricerche (con la premiazione della tesi magistrale in area etno-antropologica di Ilaria Bracaglia su ‘Genua ist uberall. Un viaggio tra i paesaggi del G8 di Genova’, che ho particolarmente apprezzato), sia le successive premiazioni finali. Eugenio Borgna, fra i più eminenti psichiatri italiani, che per motivi di salute non ha potuto essere presente, ha ricevuto il Premio Città dell’Autobiografia 2018, inviando un toccante saluto presentato e letto da Duccio Demetrio; successivamente ad Antonio Prete -poeta e maggior esperto dell’opera di Leopardi in Italia- è stato conferito il Premio per la saggistica letteraria.





Un Festival, in conclusione, che difficilmente sarà dimenticato e che ha riproposto a tutti -per citare il fondatore della LUA, Duccio Demetrio- “la complessità del tempo, dinanzi alla opacità dei giorni incogniti; delle parole perdute per sempre e perciò da reinventare, dei confini soggettivi inviolabili dalla stessa scrittura, (che rappresenta) la sfida che essa ci propone.” Con l’ulteriore sfida per un Festival 2019 ancor più memorabile.